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CARTA DEI VALORI, DELLA CITTADINANZA E DELL’INTEGRAZIONE: RIFLESSIONE CRITICA

Attualità / 42

CARTA DEI VALORI, DELLA CITTADINANZA E DELL’INTEGRAZIONE: RIFLESSIONE CRITICA

dI Sandro Valletta

Il 23 aprile 2007, l’allora  Ministro dell’Interno, On. Giuliano Amato, ha divulgato la “Carta dei Valori, della cittadinanza e dell’integrazione”, predisposta da un Comitato Scientifico che, nei  mesi precedenti, aveva consultato numerosi rappresentanti delle diverse comunità religiose. 

Si tratta di un documento che, secondo le intenzioni dello stesso Ministro, non voleva essere vincolante, ma semplicemente “… accompagnare verso la cittadinanza italiana …” le comunità religiose che decidevano di sottoscriverlo. Pur comprendendo le ragioni politiche e medianiche della scelta operata, l’iniziativa suscita immediate riflessioni e reazioni, sull’opportunità o meno di redigere un tale documento, dai contenuti già ampiamente riportati nella nostra Costituzione.

Ci si chiede perché lo Stato italiano abbia sentito il bisogno di trovare principi condivisi proprio con le comunità religiose appartenenti al mondo islamico, tralasciandone altre ancor più rappresentative. Forse perché all’interno di queste collettività alcuni valori, per noi fondamentali, non sono entrati a far parte del bagaglio culturale? Tale scelta, però, fa nascere perplessità, in quanto il rapporto di uno Stato laico con le religioni non dovrebbe essere quello di concordare i principi condivisi con le entità stesse, a volte anche di dubbia rappresentanza, ma di utilizzare, per tale finalità, le istituzioni parlamentari, democraticamente elette. Chi ha l’ambizione di vivere secondo la propria cultura, infatti, deve accertarsi che nel Paese ospitante essa non leda  l’ordinamento giuridico vigente, così avrà la garanzia di esser rispettato e accettato. Inoltre, la Carta riporta, descrivendoli come “valori“, i contenuti fondamentali, gli istituti e i principi generali del nostro ordinamento giuridico sminuendone, secondo me, il significato e la portata. Tale operazione rischia di creare confusione ed equivoci, a causa di un falso buonismo e di un pericoloso relativismo culturale. Nel documento si spazia, infatti, da passi interi della Costituzione, concernenti la libertà, l’uguaglianza e la dignità, affiancandoli a principi di diritto, derivazioni e corollari, previsti nella nostra legislazione, come per esempio l’uguaglianza fra marito e moglie, la libertà nella scelta matrimoniale, il diritto all’assistenza sanitaria e sociale e all’istruzione, fino ai precetti di buon costume e ai proclami di amicizia, fratellanza e unione fra gli uomini. 

Ma molti di questi, per noi, non sono o, meglio, non sono più solo “principi”! Tanto che si parla di “Carta di Valori” non vincolante. Infatti molti di questi enunciati sono parte integrante della nostra Costituzione e quindi immodificabili. In uno Stato di diritto, i valori costituiscono un minus rispetto al diritto codificato, tanto più se proveniente dalla Carta Costituzionale, a cui cittadini, stranieri, cattolici, cristiani, musulmani, peruviani e canadesi, possono, e devono, far riferimento continuamente nell’esercizio dei propri diritti e doveri.

Parliamo di minus nel senso che costituiscono il sostrato preesistente al diritto. La norma che li contiene è una fase successiva e pattizia, di loro riconoscimento esterno, nonché garanzia su tutto e su tutti (erga omnes) della loro valenza, cogenza e accettazione, altrimenti non sarebbero norme ma semplici auspici. 

Non c’è dubbio che chi entra e risiede sul territorio italiano sceglie e, pertanto, accetta implicitamente – senza il consenso di documenti,  tavoli di accordo e protocolli di intesa – i contenuti della Costituzione, salvo concorrere, nei tempi e nei modi previsti dalla Legge, alla sua modifica e al cambiamento, nei limiti in cui tale prassi è ammessa.

La “Carta dei Valori” potrebbe diventare espressione di un pericoloso atteggiamento con il quale si vanta  di una disinvolta ri-contrattazione di principi, in nome dell’integrazione.

Infatti, che non si debba ricorrere alla mutilazione dei genitali femminili, a cui si accenna vagamente in un articolo, dove in nome di una cultura e di una prassi che offende e degrada la donna a oggetto,  non è più solo un valore sul quale cercare consensi, ma è un  delitto contro la libertà personale (art. 13 Cost.), è un atto di tortura (art. 3 Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo) ed è punito dal codice penale italiano, ai sensi dell’art. 592: “Lesioni personali gravissime e pluriaggravate”.

In conclusione, al posto del sommesso e timido : ” … la Carta Costituzionale tutela e promuove i diritti umani inalienabili …“, sarebbe stato auspicabile leggere, tra le righe del documento in questione, una fiera dichiarazione attestante che: “La Carta Costituzionale riassume i valori, detta e regola i principi generali sui quali si fonda la società all’interno della quale si è deciso di vivere. Tale Carta soltanto ha forza di Legge. Ad essa tutti indistintamente devono obbedire compresi i singoli o le confessioni religiose o le  associazioni che hanno scelto di vivere sul territorio italiano a prescindere dalla appartenenza etnica, religiosa e culturale“.

 

 

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