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E’ ORA DI PARLARE DEL NUCLEARE

di Mario Travaglini

Dopo alcuni decenni di critiche feroci, l’energia nucleare sembra ritrovare un certo consenso non solo scientifico ma anche a livello governativo. I nuovi sostenitori, prevalentemente francesi, inglesi e cinesi, la immaginano come strumento utile per aiutare la transizione  verso lo zero carbone. Noi italiani, contrariamente a quanto realizzato negli altri paesi europei paragonabili al nostro, poiché siamo allo zero assoluto, ci dobbiamo porre una domanda semplice semplice: “Il  nucleare è una fonte di energia ormai sorpassata o  può diventare la nostra ancora di salvezza“?

C’è da dire che da diversi mesi il mormorio è divenuto palpabile: gli industriali, approfittando dei rincari di tutte le fonti energetiche, sono usciti allo scoperto ed hanno evocato l’adozione del nucleare da lungo tempo considerato un tabù; alcuni uomini politici hanno fatto proprio il problema  riavviando un dibattito che da oltre cinquant’anni polarizza l’attenzione della società. Neppure la conferenza internazionale dedicata al cambiamento climatico (COP 26)  ha potuto ignorare la questione, tanto da recepire un manifesto sottoscritto da un gruppo di cento associazioni scientifiche con il quale, tra l’altro, veniva calcolato per il 2050 un  fabbisogno doppio rispetto alla produzione attuale. Perché dunque qualche ministro prende il rischio di rimettere sul tavolo il dibattito spinoso intorno all’atomo  sebbene siano ancora irrisolti i problemi di stoccaggio, sebbene ci siano ancora questioni etiche legate alle filiere di approvvigionamento e sebbene non faccia parte delle fonti di energia rinnovabile ?  Non mi avventuro nella esegesi del pensiero ministeriale ma la risposta mi sembra abbastanza scontata : questo metodo di produrre elettricità resta l’unico di cui possiamo disporre a breve termine per ridurre le emissioni  del gas serra assicurando nello stesso tempo il fabbisogno per i consumi privati, pubblici ed industriali. E se resta in piedi l’obiettivo zero carbone nel 2050  i paesi occidentali, unitamente alla Cina e all’Australia, fino qualche mese fa ancora refrattari, dovranno convertire la loro produzione dal fossile in energia pulita attraverso una implementazione del nucleare. Questa fonte  che oggi assicura una copertura appena del 20% del consumo mondiale  si avvia a diventare nei prossimi anni l’unica in grado di soddisfare i bisogni della umanità,  perché  non saranno in grado né l’eolico, né i pannelli solari, né l’idroelettrico a soddisfare le necessità da qui al 2050. La Germania che aveva messo una croce sull’atomo dopo l’incidente di Fukushima si sta pian piano ravvedendo, conscia, probabilmente, del fatto che con le energie alternative non riuscirebbe mai a coprire il suo fabbisogno; mentre in Francia dove il nucleare,  rappresenta già i tre quarti della produzione di elettricità si pensa non solo a sostituire i più vecchi dei 56 reattori già in funzione ma ad accrescerne il numero al fine di rendersi indipendente dai capricci politici degli arabi e dei russi.  Nel Regno Unito, dopo aver vissuto un autunno degno di una economia di guerra con la chiusura delle pompe di benzina, mancanza di gas ed esplosione dei prezzi dell’elettricità, il Governo ha preso coscienza che l’energia non è disponibile ad un semplice schiocco di dita e assicurarsi la sua disponibilità non è un fatto meramente monetario ma fisico, nel senso che i Kwh per essere consumati vanno prima prodotti. Forte di questa lezione Boris Johnson ha immediatamente annunziato nuove misure per facilitare la costruzione di RPR (European Pressurized Reactor ) di terza generazione al fine di dare una forte accelerazione al suo calendario energetico per anticiparlo dal 2050 al 2030. Che ci si compiaccia o che lo si deplori il mondo di domani sarà in gran parte nucleare per il semplice fatto che non esiste alcuna fonte d’elettricità alternativa a breve termine capace di raggiungere l’obiettivo della decarbonizzazione.

Prima di passare alle conclusioni economico-finanziarie mi soffermo velocemente su due aspetti :

1) Il nostro Paese ha l’obbligo di riflettere profondamente sulla questione, mettendo da parte le considerazioni emotive e strumentali del passato che hanno portato ad una dipendenza esagerata verso paesi meno ipocriti del nostro. Ricordiamoci che per produrre l’equivalente di una piccola centrale nucleare occorrerebbero 300 chilometri quadrati di pannelli fotovoltaici  !                                                                              

  2) Occorre investire molto nella sicurezza spingendo  la ricerca  scientifica ad individuare, da un lato, sistemi di produzione tecnologicamente portati a ridurre i rischi di funzionamento e, dall’altro, a trovare soluzioni per ridurre sia le scorie che i rischi legati al loro stoccaggio.

Traducendo le considerazioni sopra espresse in opportunità di investimento  ritengo che il risparmiatore  dovrebbe guardare più lontano, ossia alla materia prima necessaria per il funzionamento dei reattori: l’uranio. Nel prossimo articolo proverò a ragionare sulle prospettive di investimento ed indicherò alcuni titoli sui quali puntare .

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