HomeEditorialiLA NARRATIVA COME MEDICINA ESEMPIO DI LUCIDA UMANITA’

LA NARRATIVA COME MEDICINA ESEMPIO DI LUCIDA UMANITA’

di Pierluigi Palmieri

La notizia mi arriva con amichevole discrezione, dall’amico e collega Giuseppe Mazzocco: un suo racconto si è classificato al secondo posto in un Premio letterario. Alla soddisfazione e ai complimenti, non alla sorpresa perché conosco da secoli la verve di Pino, è seguita la naturale richiesta di poter leggere il suo lavoro.

Detto fatto. Qualche ora fa ho ricevuto il racconto, che sin dalle prime righe appare, pur nella sua brevità, pregno di gradevole originalità. I lettori potranno verificare la sua  scorrevolezza  rintracciandolo in questo numero della Rivista della Domenica , indifferentemente, nelle sezioni Letteratura e Sanità. In questa sede non intendo ovviamente anticiparne il contenuto, ma mi piace sottolineare che la voce narrante è quella di un bimbo che deve ancora nascere, che esterna le sue sensazioni e le sue emozioni con precoce “adultità”, sia pure ingenua. 

La scansione temporale si riferisce alle ultime settimane della gestazione a partire dal momento in cui Giacomo (è questo il nome del protagonista) si è “girato” per il parto. Il nascituro comincia ad avvertire un “impiccio” che gli preme sulla nuca e proviene dalla parete dell’utero che lo ospita. Giacomo ripete nei suoi monologhi parole e frasi pronunciate dagli adulti in particolare durante e dopo i controlli ecografici del Ginecologo. Il lessico di cui si impossessa contiene termini tipo parto eutocico, cervice, macchina fotografica, giocattoli, lettino, cameretta, foto sul comodino e infine …anestesia. Quell’iniziale impiccio varierà in “questo coso” e finirà per chiamarsi cuscino  E’ un crescendo di riflessioni e di aspettative, certezze e dubbi che sfociano in un emblematico “io non so cosa sia questo TUMORE”. Questa parola, sconosciuta al feto parlante e pensante della narrazione di Pino, è purtroppo ben nota e temuta da chi vive la difficile quotidianità dei nostri tempi, ma paradossalmente ha il “merito” di aver provocato, per una volta, non le devastanti conseguenze fisiche e morali sulle sue vittime e sui loro cari, ma la nascita di un movimento che a queste persone offre una terapia che si basa su un antico nuovo farmaco: la narrazione. Ho usato l’ossimoro “antico nuovo” per definire la scoperta dell’utilità della narrazione pensando ovviamente alla coinvolgente forza di quella di Omero e anche a quella, meno antica e comunque magistrale, delle fiabe e delle favole esaltata da Gianni Rodari. 

Ma la narrazione di cui parliamo oggi, grazie a Pino Mazzocco, è la nuova molecola chiave che ha aperto le porte della serenità per chi è oppresso dal macigno del tumore. Il definitivo lancio della nuova terapia spetta alla dottoressa Francesca Intini, colpita nel pieno dei suoi migliori anni, da un tumore inesorabile  Nel reparto di Patologia Neonatale dell’ospedale Ca’ Foncello di Treviso, dove suo marito Luca è considerato uno dei pilastri della Neurochirurgia, assicurava la vita ai bambini in condizioni di rischio perché nati prematuri. Ma purtroppo, per ironia della sorte, non ha potuto evitare che il tumore che l’aveva aggredita le togliesse la vita a soli 39 anni , molto prematuramente appunto. Era il 2018 e in quell’anno, nella piena consapevolezza del persistere del suo male, aveva deciso di seguire il Master in medicina Narrativa applicata della Fondazione Istud. Aveva colto l’importanza dellaNarrazione da parte di chi è affetto da una patologia considerandola “al pari dei segni e dei sintomi della malattia stessa”Un chiaro segnale ai  colleghi ed agli amici più cari della sua fede nella Medicina Narrativa, nell’ambito della quale, come ho verificato visitando il Sito della stessa Fondazione, l’Istud nel 2015, aveva dedicato il progetto dal titolo non casuale di “Nascere prima del tempo”.

Il denominatore comune dei progetti sta nell’intento “di raccogliere, attraverso i racconti, gli spunti relativi al vissuto, a richieste, esigenze, aspettative che emergono lungo il percorso, per individuare gli spazi di intervento più idonei dal punto di vista dell’organizzazione dei servizi e del supporto integrativo per le famiglie”. I colleghi e gli amici della dottoressa Intini, non hanno esitato a cogliere il senso delle indicazioni di quello che si può considerare il suo testamento morale e hanno costituito l’Associazione di Promozione Sociale “RacconTiamo con Francesca” che ha come obiettivo principale proprio quello di diffondere sul territorio la Medicina Narrativa come strumento di cura. Non sfugga quella “T” scritta in un geniale maiuscolo, che fonde due verbi in un invito che risponde con amore all’invito di Francesca Intini ad amare chi soffre. E’ nato così il Concorso “RACCONTIAMOCI CON CURA” aperto ai lavori da pazienti, operatori con esperienza di lavoro in ambito sanitario-assistenziale e caregiver e a chi si sta prendendo o si sia preso cura di persone colpite da qualsiasi tipo di patologia (in qualità di familiari, amici, volontari)

Tra i tanti che hanno risposto c’è appunto Giuseppe Mazzocco, l’amico e collega che risponde a pieno ai requisito richiesto dal bando dell’Associazione RacconTiamo, perché per molti anni si è preso cura di Enza, compagna di studi, di lavoro e di vita, sua moglie. L’ha  aiutata a mantenere intatta la sua verve, la sua forza d’animo di fronte al male che l’aveva relegata sulla sedia a rotelle. Enza come Francesca è volata in cielo molto prematuramente e come lei ha provato a lottare contro l’inesorabile. Per il suo innato spirito imprenditoriale, per la sua padronanza nel gestire le situazioni, anche le più complesse, e per la sua capacità di empatizzare, occupava saldamente, sin dai tempi della nostra frequentazione isefina, un posto ai vertici della mia considerazione. Al telefono chiedevo: Parlo con “La logistica”? ( appellativo che scherzosamente le avevo attribuito) e lei con l’autoironia che la contraddistingueva replicava “In Persona! Di cosa hai bisogno?”.

L’Io spero di Pino Mazzocco sposa e assume il titolo del tema del concorso spendendo senza remore la parola “spero” nel monologo di Giacomo, il feto parlante, e, soprattutto, ribadendola nelle invocazioni finali del bambino ormai nato, attribuisce alla “molecola” della narrazione la valenza di una medicina insostituibile.

 

 

 

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