HomeLa RivistaEducazione e AmbienteNON E’ TROPPO TARDI. CONTRO IL CATASTROFISMO

NON E’ TROPPO TARDI. CONTRO IL CATASTROFISMO

di Raniero Regni

La paura è una delle passioni umane universali, presente da sempre e ovunque. Come tutte le emozioni ha una sua precisa intelligenza. Essa ci segnala i pericoli e, implicitamente, ci indica ciò che ci sta a cuore. Dentro ogni paura c’è forse l’originaria e universale paura di essere abbandonati, di rimanere soli, dentro la quale riecheggia però la madre di tutte le paure che è la paura della morte. La paura di non farcela, la paura di non essere all’altezza, la paura di perdere la stima di sé e degli altri, la paura di perdere ciò che amiamo. La paura è una e molte.

La stagione del Covid, nella quale siamo ancora immersi, ha fatto riemergere a livello collettivo la paura della morte ma, come abbiamo scritto più volte, al netto dei legami che pure esistono tra le due, la pandemia passerà mentre la crisi climatica e ambientale è destinata a durare. Non c’è un vaccino per il pianeta. La crisi ambientale ci espone alla minaccia più grande, quella di una natura impazzita, imprevedibile e ostile, quella di un mondo degradato e infine dell’apocalisse ecologica. Guardando il futuro quest’ultimo si è fatto impenetrabile, imprevedibile e minaccioso. Il nostro è il tempo dell’incertezza. Alcuni studiosi distinguono tre forme diverse di incertezza. La prima forma è quella dell’incertezza attesa, l’incertezza del genere “devo tornare a casa e posso percorrere strade diverse”, raccolgo le informazioni che possiedo e le confronto con lo stato attuale del traffico. Una certezza che può essere corretta con nuove conoscenze. La seconda forma è l’incertezza inattesa, quella imprevedibile e inaspettata. Se in un ristorante, dove mangio quasi sempre bene, cambia cuoco mi trovo di fronte ad una imprevedibilità. Siamo di fronte ad un cambiamento di secondo livello, quello delle regole stesse del cambiamento. Noi siamo animali abbastanza abitudinari, il nostro cervello è fatto per ridurre l’incertezza. Eppure, di fronte ad una incertezza inaspettata, il nostro cervello reagisce aumentando il suo tasso di apprendimento. Bisogna aggiornare le previsioni, bisogna pensare diversamente e di più, in maniera creativa, come si dice, out of the box, fuori dal perimetro dell’abitudine, delle cattive abitudini. Ma poi c’è un terzo tipo di incertezza, l’incertezza volatile. Questa è tipica delle situazioni in cui non solo sono difficili le previsioni ma cambiano anche le regole in base a cui farle e cambiano così in fretta da essere inutile cercare certezze. Questa situazione di incertezza volatile non incentiva l’apprendimento informativo. In questa situazione ci si convince che non c’è niente da imparare, che non si può imparare. Veniamo sottoposti continuamente a sorprese negative, difficili da gestire. A quel punto il nostro cervello predittivo inizia a dedurre un’incapacità ad ottenere i risultati che ci si aspetta. Ci si convince che non si può reagire, che non si puoi più imparare, che non puoi fare niente. Sorge il senso di impotenza appresa. Come succede ai ratti in crudeli esperimenti di laboratorio. Se il topo riceve una scossa elettrica qualunque comportamento metta in atto, anche quando si presenterà una via di uscita dalla situazione dolorosa, non la intraprenderà più. Ha imparato che non ha via di scampo, ha imparato che non può sottrarsi in nessuna maniera agli eventi avversi.

Con il cambiamento climatico e la crisi ambientale siamo di fronte ad una incertezza inattesa e la situazione dovrebbe subito spingerci a capire di più, a pensare di più e diversamente, a fare di più e meglio, trovando soluzioni sostenibili ad ogni livello. Ma se aspettiamo ancora potremmo trovarci di fronte ad un’incertezza volatile che assomiglia molto agli effetti perversi del catastrofismo. Se non c’è più niente da fare allora mi rassegno. So che non potrò in alcun caso sottrarmi agli effetti devastanti della catastrofe ambientale. Paradossalmente, il negazionismo ambientale e il catastrofismo, che pure sembrano opposti, perché uno nega che ci sia un’emergenza ambientale, mentre l’altro dice che tale emergenza è così avanzata che non si può più arrestare con veloci cambiamenti di rotta, le conseguenze sul piano dell’azione saranno le stesse: non fare niente. Il catastrofismo genera disimpegno, un’idea di inevitabilità e disperazione. Il suo messaggio è l’impotenza.

Come scrive forse il più autorevole climatologo vivente, M. Mann, “sì, il cambiamento climatico è arrivato e, a questo punto, è solo questione di quanto vogliamo peggiorare”. Ma l’incertezza sui tempi non è una ragione per non agire. Anzi, è la ragione per agire e collaborare ancora più energicamente. Anche se a Glasgow non si è ottenuto quasi niente non è troppo tardi per salvare la vita sul pianeta. È vero che siamo di fronte ad una crisi planetaria difficile da sopravvalutare, ma il catastrofismo è una forma di nichilismo climatico e, in fondo, di negazionismo. O, almeno, finisce per avere gli stessi effetti, ovvero lasciare che i signori dei combustibili fossili e dell’inquinamento industriale possano continuare a fare affari a spese dell’ambiente.

Tutti conoscono la famosa frase pronunciata da Franklin Delano Roosvelt di fronte alla drammatica situazione sociale seguita alla crisi del ’29, “l’unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa. L’impronunciabile, irrazionale, ingiustificato terrore che paralizza gli sforzi necessari per convertire la ritirata in avanzata”. La paura non è un buon motivatore, anche sul piano educativo. Non si possono spaventare i bambini e i giovani con lo scenario di un inverno ecologico che li aspetta. I giovani hanno ragione a protestare e a impegnarsi per cambiare modello energetico, contro gli adulti rasseganti alla fine del mondo che, per loro, finisce comunque. Siamo di fronte ad un limite e alla necessità di una svolta. Una crisi è un momento in cui deve essere presa una decisione difficile e importante, ma non impossibile. La preoccupazione, l’interesse e la speranza sono invece elementi motivanti che l’educazione alla sostenibilità deve sviluppare. La situazione è grave ma c’è speranza, questo è il messaggio che produce l’impegno a cambiare. Questo dicono gli scienziati e questo sentono i giovani.

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