HomeEditorialiGREEN DEAL E LA DECARBONIZZAZIONE: LA MONTAGNA HA PARTORITO IL TOPOLINO

GREEN DEAL E LA DECARBONIZZAZIONE: LA MONTAGNA HA PARTORITO IL TOPOLINO

Editoriale/32

L’ipocrisia mascherata di Glasgow e Roma: questa o quella pari sono

«Non posso tornare anche questa volta dai miei figli, a casa, e dir loro che non siamo riusciti a combinare nulla». (Tina Stiege- Isole Marshall -COP 26)

di Pierluigi Palmieri

Negli ultimi giorni ho provato ad interpretare gli umori del vertice di Glasgow per capire se le centinaia di convenuti alla Conferenza delle parti stessero finalmente facendo sul serio nell’affrontare il problema della decarbonizzazione al fine di eliminare quella che è ormai da decenni, la più che conclamata causa dell’inquinamento del pianeta e del suo surriscaldamento. Sulla nostra rivista, ormai  da mesi nella rubrica Il Limite , con argomentazioni inconfutabili , Raniero Regni sottolinea l’urgenza di uno stop alle emissioni da combustione del carbone come pure di quella dei rifiuti definiti solidi secondari (CSS), altrettanto nocivi. Unica alternativa il ricorso sistematico e totale alla produzione di energia da elementi naturali, sole e vento in primis. Mentre scrivo invece le agenzie danno notizia che in Scozia i lavori si sono conclusi con un “compromesso” tra i paesi ad economia avanzata e quelli in via di sviluppo, che prevede la graduale eliminazione dell’uso del carbone, del gas metano e del petrolio e dei suoi derivati.
Il principio era stato sostenuto già qualche decennio fa in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo del 1992 a Rio de Janeiro. Lì nacque la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici , ma oggi l’obiettivo che essa si proponeva si è rivelato, alla luce della sterilità evidenziata negli anni in termini di fattibilità, del tutto inadeguato. L’obiettivo di “stabilizzare” le concentrazioni di gas serra conteneva una palese contraddizione rispetto alla realtà che aveva spinto le Nazioni Unite a promuovere la Conferenza prima e la stessa Convenzione quadro poi.

Il termine “cambiamento climatico” avrebbe dovuto trovare riscontro un un verbo più attinente all’auspicabile inversione di tendenza. Abbattere, eliminare e simili, avrebbero evidenziato la volontà di invertire la tendenza e di estirpare il male alla radice per portare l’atmosfera ad “un livello sostenibile e quindi prevenire gravi conseguenze”. Si scelse invece di mantenere lo status quo, stabilizzare appunto, nell’emissione di gas serra. Questo peccato originale ha condizionato l’applicazione del successivo protocollo di Kyoto del 1997 che auspicava entro due periodi di impegno compresi tra il 2008 e il 2020, una riduzione mai avvenuta. La Conferenza di Parigi infatti, quasi venti anni dopo, ha dovuto fissare di nuovo l’obiettivo di restare ad un livello inferiore di due gradi rispetto a quello antecedente la Rivoluzione industriale.

L’accordo/compromesso appena sfornato a Glasgow 2021 ha fissato in un grado e mezzo il nuovo limite di riscaldamento globale da non superare entro il 2030 e la riduzione della combustione di carbone del 10% entro la stessa data.

Fino a quache ora prima avremmo potuto considerare il bicchiere mezzo pieno e almeno pensare che la maggior parte dei grandi e i piccoli della terra a Glasgow si fossero convertiti alle tesi di chi all’ambiente e alla salute tiene veramente e che l’aria di Glasgow avesse finalmente “ossigenato” a dovere i loro cervelli. Ma, apparentemente ispirato al buon senso, il confronto con gli irriducibili “carbonisti” ( India, Polonia, Sud Africa e Australia in testa) è sfociato però in un compromesso che non tiene conto degli appelli “a fare presto” dei rappresentanti delle nazioni meno potenti che poi sono quelle che dal cambiamento climatico subiscono i danni maggiori. Gli indiani hanno teso l’agguato e la Cina si è affrettata ad appoggiare il loro emendamento con il quale “ si sono opposti alla graduale eliminazione dei piani energetici a carbone, affermando che “i Paesi in via di sviluppo hanno il diritto all’uso responsabile dei combustibili fossili”.. ..E caduto nel vuoto quindi l’invito a iniziare immediatamente tale processo di riduzione partito proprio dagli altri, più piccoli, paesi dell’Oceano Indiano (“Sarà troppo tardi per le Maldive. Per noi è una questione di sopravvivenza. Il protocollo non porta speranza nei nostri cuori”) e reiterato da quelli del Pacifico ( “Non posso tornare anche questa volta dai miei figli, a casa, e dir loro che non siamo riusciti a combinare nulla”). Di fatto era un invito ad evitare i “Bla, Bla”, di matrice Tumborg, ma paradossalmente era anche un richiamo all’appello lanciato da uno dei Grandi, il premier britannico Boris Johnson, in occasione degli incontri milanesi preparatori della Conference of the Parties di Glasgow ( Se non siamo seri, per i nostri figli sarà tardi , perché l’umanità ha esaurito il tempo per invertire la rotta sui cambiamenti climatici” e ancora resta un minuto prima della mezzanotte”).

Il “compromesso” non fa intravvedere alcun accorciamento dei tempi e restano le scadenze del 2030 per “mantenere l’incremento del riscaldamento entro il grado e mezzo” e del 2050 per la cosiddetta “neutralità carbonica”. Soprattutto gli impenitenti del carbone India e Cina, che contano da sole un numero di abitanti pari a un terzo della popolazione mondiale, continuano a ritenere ineliminabile il carbone . Il presidente del COP26, il britannico Alok Sharma non ha potuto fare altro che sintetizzare tra le lacrime il suo giudizio sulla conclusione dei lavori in un “abbiamo raggiunto un accordo imperfetto”. Se i cinesi e gli indiani avessero dedicato un po’ di tempo per farsi un giro per il capoluogo scozzese avrebbero constatato che lì la qualità della vita è tra le migliori al mondo e la lotta al cambiamento climatico è iniziata da tempo seguendo, come pochi altri paesi, i pur debolio protocolli di Kioto e Parigi. Glasgow si è aggiudicato il Global Green Cyty delle Nazioni Unite ( e anche l’organizzazione del COP26) perché primeggia per i suoi “parametri basati sulla pianificazione, le basse emissioni di Co2, l’efficienza energetica cittadina, il dinamismo nei trasporti, gli edifici sempre più ecologici e rispettosi dell’ambiente, il numero e la qualità degli spazi aperti”. Tra la miriadi di parchi e le centinaia di chilometri di sentieri c’è anche quello di Whitelee più grande parco eolico onshore del Regno Unito, con le sue 200 turbine!!!

Ma se se la Glasgow del COP26 piange Roma non ride. Da noi poco prima degli incontri preparatori di Milano i sindacati si erano affrettati a sottoscrivere con i produttori di cemento un documento ( 6 ottobre 2021) dallo stesso tenore dilatorio del compromesso partorito dalla COP26 di Glasgow. Un “avviso” che la dice lunga sull’abdicazione dei cosiddetti rappresentanti del lavoratori dal ruolo di tutori della loro incolumità e di quella delle loro famiglie. Assecondano le ipocrisie dei rappresentanti delle imprese che si nascondono dietro Studi di settore da loro commissionati e postulano la necessità di proseguire nell’uso del carbone e esaltano la “purezza” del CSS. Propongono improbabili e sofisticati di sistemi per la cattura della CO2. E non è tutto perché gli imprenditori battono anche cassa. Il piano della KPMG Advisory, commissionato dalla Federbeton, prevede uno stanziamento iniziale di 4,5

miliardi e 1,5 miliardi annui a tempo indeterminato per continuare comunque la produzione di energia con l’emissione di CO2 e CSS. Ancora una volta la montagna ha partorito il topolino e i sindacati anziché “sindacare” firmano la condanna di loro stessi e dei loro nipoti.

Oggi non è possibile la rivoluzione perché il servo e il padrone stanno dalla stessa parte. E hanno come controparte il mercato. (U.Galimberti)

 

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