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LA QUESTIONE CLIMATICO – AMBIENTALE TRA MORALE E POLITICA

Perché in afose giornate di agosto mi trovo a discutere di rifiuti, di economia circolare, di riduzione del CO2, di combustibili industriali? Perché, da dopo la chiusura dovuta alla pandemia, è scattato in me, come in alcune altre persone della mia città, un interesse particolare per le tematiche ambientali locali ma anche nazionali e internazionali? Perché si è acuita la consapevolezza di quanto siano decisivi questi temi rispetto a molti altri che attraggono l’attenzione? 

All’inizio ho pensato che si trattasse di una questione di coscienza, un problema morale. La consapevolezza è il prodotto della coscienza, anche se quest’ultima viene prima ed ha radici probabilmente inconsce e persino irrazionali. Ed è senz’altro vero, diventare coscienti vuol dire porre al centro della propria attenzione certi fatti piuttosto che altri. Il problema del clima, dell’inquinamento, dell’antropizzazione fino all’Antropocene, sono tematiche trasversali ad ogni singola situazione e non a caso oramai compaiono, bene o male, a proposito o a sproposito, in ogni situazione. Ne è indice il marketing che è sensibilissimo agli orientamenti dei consumatori e che oggi deve dipingere di verde qualunque cosa che voglia far acquistare. Occultando così il fatto che la sua formidabile pressione all’acquisto è forse la principale causa dell’inquinamento globale. Ma torniamo alla coscienza. Il fatto di aver preso coscienza delle minacce alla salute e all’ambiente costituite soprattutto da alcune industrie mi pone il problema del rapporto tra politica e morale. Provo a spiegarmi facendo una digressione.

Quelli della mia generazione si sono formati sull’idea, proposta tra i primi da Machiavelli, che la politica e la morale siano separate. La famosa autonomia della politica dalle costrizioni etiche e teologiche proposta dal segretario fiorentino mi era stata presentata, sin dai banchi del liceo, sempre come una forma progressiva, simile a quella che aveva liberato la scienza della natura dalla sottomissione alla teologia. La morale si occupa del dover essere, la politica della realtà come è, della “verità effettuale”. Poi, da Machiavelli fino a Hegel e a Marx (non a caso definito, mi sembra da Croce, il Machiavelli del proletariato), l’idea che chi volesse cambiare qualcosa della società doveva trovare i mezzi adeguati agli scopi e lo scopo era appunto trasformare il mondo. Poi però era arrivato M. Weber con la sua fondamentale distinzione tra l’etica dell’intenzione, indifferente rispetto alle conseguenze delle proprie azione purchè ispirate dalla adesione della coscienza al bene, le buone intenzioni appunto, e l’etica della responsabilità, che invece oltre alla bontà del proposito si preoccupa anche delle conseguenze delle proprie azioni.  E poi c’era Camus che invece mi aveva riportato all’idea che l’azione politica senza l’etica aveva avuto conseguenze tragiche, Spartaco era diventato Cesare, la rivolta era diventata la rivoluzione, l’anelito alla società senza classi aveva prodotto il Gulag. Camus aveva capito, come pochi altri suoi contemporanei, che lo storicismo era sostanzialmente nichilista, se Dio non esiste tutto è possibile, se non esistono né una natura umana né un limite naturale extraumano, allora storicamente ha ragione sempre chi vince. Per questo l’amore doveva sempre sorvegliare la giustizia. 

Ecco allora che l’impegno politico per un ambiente più rispettoso della vita naturale e della salute diventa un impegno etico a favore delle nuove generazioni. Una difesa dei diritti di coloro che non sono ancora nati. Un’etica che allarga la sua sfera di responsabilità al non umano, al mondo del vivente in generale. Si badi bene, non il transumano dei deliri tecnologici che ibridano il vivente con l’artificiale. La stessa libertà, come massimo valore umanistico, deve fare i conti a questo punto con il diritto alla vita di altri esseri viventi non umani, diventa così non un fine ma un mezzo, il mezzo per diventare esseri umani migliori, prendendosi cura anche di altri esseri viventi. 

Eppure concepire l’impegno come avventura morale individuale, una ricerca di onestà e autenticità, presenta però dei limiti. Me ne ha convinto A. Ghosh secondo il quale si assiste, da una parte, alla divaricazione sempre più evidente tra la sfera pubblica della performance politica e l’ambito della governace reale, che è oramai per lo più dominata da istituzioni quasi invisibili guidate da imperativi propri, un intreccio di affari e politica che genera uno stato opaco. Dall’altra, la sfera pubblica diventa la sede di una performance, come sono anche le proteste e gli happening ambientalisti, ancorchè sacrosanti, di tipo teatrale, che spesso generano un senso di impotenza in chi vi partecipa. Per evitare questa divaricazione bisogna forse pensare che se il cambiamento climatico è una questione morale, di coscienza individuale, in realtà il conflitto è di natura globale e richiede un’azione collettiva. Come osserva lo scrittore indiano, “la politica della sincerità potrebbe fare il gioco del fronte avverso”. Non si possono attaccare gli ambientalisti per la coerenza del loro stile di vita e per quali mezzi usano per raggiungere una manifestazione di protesra. Le scelte individuali rischiano di non fare alcune differenza se non saranno prese e applicate scelte collettive. Una ragione di più per aumentare l’impegno politico della società civile che può ritrovare un ruolo e uno spazio nell’azione collettiva, facendo convergere la dimensione etica e quella politica. 

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