LE TRAMONTATE STELLE DI STELLANTIS

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Valore & Valori / Mario Travaglini 173

  Non avrei mai immaginato di dover strumentalizzare Puccini e Pavarotti  per affrontare le vicende degli eredi di casa Fiat ma qualche settimana fa, parlando della crisi automobilistica europea e di quella tedesca in particolare, mi ero ripromesso di affrontare la questione  Stellantis che in quell’occasione avevo definito come “caso patologico”. Gli eventi che si sono manifestati da allora ad oggi non solo hanno confermato quella considerazione ma ne hanno evidenziato i rischi crescenti per chi ha avuto l’imprudenza di acquistare in borsa qualche lotto di azioni. Limitando l’analisi agli ultimi 90 giorni si nota come le perdite sfiorino il 40%, mentre se allargassimo il periodo fino al 17 marzo scorso la loro entità sarebbe pari al 55%, passando dal valore di allora di  euro 26,95  ai 12,17 di oggi. Questo tracollo di borsa è la naturale e diretta conseguenza di quanto è avvenuto nel mercato dell’auto i cui dati sono ancora più eloquenti: nel solo mese di settembre le vendite nel nostro Paese sono calate del 39% mentre negli Stati Uniti sono scese del 19,8% in un mercato in cui le vendite sono schizzate al rialzo del 26,4%. Una fotografia impietosa che da sola potrebbe spiegare la inadeguatezza manageriale dell’automotive italiana. Tuttavia, l’occasione per tornare sull’argomento mi è stata data dall’audizione che l’Amministratore delegato Carlos Tavares  ha avuto dinanzi ai parlamentari  delle commissioni “Attività Produttive” di Camera e Senato, durante la quale, dall’alto della sua arroganza, ha avuto l’impudenza di chiedere altri soldi ai contribuenti italiani per tenere in piedi i conti di Stellantis che né la proprietà né lui stesso sono riusciti a gestire in modo conveniente ed oculato. Nel suo paradossale intervento anziché fare ammenda degli errori commessi a più riprese nella costruzione dei piani industriali del gruppo e nella gestione delle risorse finanziarie, ha preferito puntare il ditino sull’intero settore automobilistico sostenendo che la responsabilità è da attribuire alla  Commissione Europea che ha spinto tutti i produttori a passare all’elettrico ed a ridurre le emissioni di CO2 entro il 2025.  Ora, che la Commissione abbia messo in piedi un vero disastro normativo è largamente risaputo, ed io su queste stesse colonne l’ho denunziato più volte, ma Tavares, nel chiedere al Governo italiano incentivi fiscali da assegnare agli acquirenti di veicoli elettrici per coprire i costi di Stellantis, tra i quali, detto per inciso, figura anche quello stratosferico di 36 milioni all’anno per il suo immeritato compenso di amministratore, omette di dire due o tre cosine molto interessanti.

La prima: da lungo tempo tutti gli osservatori economici e le riviste specializzate del settore  hanno più volte evidenziato che Stellantis è il gruppo che è risultato più in ritardo nel rispettare le norme sulla transizione energetica, sia in termini di innovazione tecnologica, sia di introduzione di nuovi modelli, sia infine per l’affidabilità. Oggi appare dunque del tutto paradossale che, pur non essendo preparata, sia l’unica azienda automobilistica globale a non voler rinviare le scadenze  sull’elettrico. La sola e plausibile spiegazione, sostenuta anche dal ricatto dei paventati licenziamenti adombrati durante l’audizione, poggia sul fatto che senza gli incentivi statali l’azienda non sarà in grado di essere autonoma, dirigendosi di fatto verso un bivio assai pericoloso: avviarsi verso una lenta decozione o essere a sua volta preda di altri gruppi meglio strutturati, finanziariamente più solidi  e lungimiranti.

La seconda: quando nell’audizione afferma di aver costruito le piattaforme produttive destinate alla catene di montaggio dei veicoli elettrici omette di precisare che Stellantis le ha costruite in Francia e non in Italia.  Emblematico è il fattaccio delle “Topolino”, le minicar elettriche la cui guida è consentita anche ai 14enni, prodotte in Marocco e fatte passare con tanto di bandiera italiana incollata sulla portiera come prodotte nel nostro Paese. L’italianità che Tavares ha sbandierato non esiste: tanto per essere chiari le Alfa, la “Grande Panda”, la “Topolino” sono prodotte in Marocco, Serbia, Algeria e Polonia. Per tentare di compensare in qualche modo questo squilibrio e poter chiedere soldi al Governo Italiano Stellantis, con un progetto di 2 miliardi di Euro di cui 370 milioni erogati  dall’Unione Europea, aveva promesso di convertire il suo stabilimento di Termoli in un polo per produrre batterie per auto elettriche, impegnandosi a metterlo in servizio nel corso del 2026.  Tutto questo non è avvenuto avendo Tavares fatto sapere che “…….doveva ristudiare la strategia di fabbrica per essere in linea con gli sviluppi del mercato” e che, pertanto, la gigafactory molisana non avrebbe visto la luce. Se a questo scenario si aggiunge che dal prossimo mese le attività produttive degli stabilimenti di Pomigliano d’Arco, di Termoli e di Pratola Serra verranno sospese e che  Moody’s ha abbassato l’outlook da stabile a negativo, la richiesta di nuovi incentivi appare oltremodo ingiustificata.  Il presidente di Confindustria Emanuele Orsini commentando le dichiarazioni di Tavares è stato ancora più duro affermando :”Abbiamo bisogno che in Italia le produzioni vengano mantenute e chiedere ulteriori incentivi mi sembra onestamente una pazzia”. Traduzione: incamerare i profitti, quando ci sono, ed accollare i costi allo Stato,quando mancano, significa fare impresa con i soldi degli altri, ovvero, come si usa spesso dire, si socializzano le perdite e si privatizzano i profitti. Cosa che sin dai tempi del mitico Avvocato è avvenuta regolarmente, tanto che i dati ufficiali dicono che dalla metà degli anni ’90 ad oggi almeno il 40% degli investimenti sono stati pagati dallo Stato sotto forma di incentivi, cassa integrazione e contributi vari. Se l’indagine venisse estesa al periodo 1970-2000 noteremmo che la galassia Fiat ha ricevuto aiuti pari al doppio del suo valore di borsa. Tutto questo è assai paradossale perché nonostante ciò, da un lato, sono stati persi migliaia di posti lavoro che solo negli ultimi dieci anni ammontano a circa 15 mila unità e, dall’altro, sono stati erogati ingenti dividendi che solo dal 2021 ad oggi ammontano a 16,4 miliardi. Se per descrivere questo quadro qualcuno usasse il termine inverecondo sarei d’accordo con lui. Nel chiudere questo secondo punto non posso non sottolineare  che se Tavares ha predisposto le catene dell’elettrico in Francia e non in Italia  significa una sola cosa, ossia che ha in mente di chiudere completamente in Italia e, nell’attesa, tra un incentivo e l’altro, alla fine tenterà di addebitare la chiusura alla politica che non è riuscita a trovare né soldi né soluzioni.

 La terza:  oltre al progetto industriale è da mettere sotto accusa anche quello finanziario, affidato improvvidamente nell’aprile del 2023 alla Signora Natalie Knight che nel giro di un anno mezzo ha messo in ginocchio il cash flow  del gruppo (1). L’aver consegnato le chiavi della cassaforte  a chi fino ad allora aveva gestito le finanze di una oscura azienda alimentare olandese, lontana anni luce da un settore particolare come quello dell’automotive, si è rivelato un ulteriore gigantesco errore. Pensare di gestire questo tipo di impresa ignorando sia il mercato, cioè i consumatori, e l’indotto, ovvero le migliaia di aziende che dipendono dalle tue decisioni, è un puro atto di masochismo perché non c’è paese al modo, anche il più forte e industrializzato, che è nella condizione di reggere gli scompensi derivanti dal crollo dell’industria automobilistica. Costoro nel ricordare il genio di Marchionne, quando durante la crisi dei subprime nel 2009 portò in dote alla Fiat, senza soldi e su un piatto d’argento, la Chrysler, simbolo della industria  americana, avrebbero dovuto fare tesoro della sua affermazione di allora :”…..lo sforzo normativo  per promuovere  l’auto elettrica porterebbe solo ad un aumento dei costi,senza nessun beneficio  immediato e concreto. Per ogni 500 elettrica venduta in America perderemo circa 10 mila dollari”. Gli inglesi direbbero : do you see the difference?

 

 

(1) cash flow : è il flusso di cassa, ovvero differenza tra le entrate e le uscite monetarie di una azienda .