IL PARTITO DEL FARE AD OGNI COSTO, LA TRANSAZIONE VERSO IL PASSATO E LE PREOCCUPAZIONI DI UN PREMIO NOBEL.

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 Il Limite / REGNI / 172

Qualche giorno fa è stato assegnato il premio Nobel per la fisica.  Uno dei due vincitori del più prestigioso riconoscimento per la ricerca scientifica è G. E. Hinton, fisico inglese che lavora in Canada.  Il premio è stato assegnato per le sue fondamentali ricerche fatte sulle reti neurali, sull’apprendimento delle macchine e sull’intelligenza artificiale. Eppure Hinton è lo studioso che qualche tempo fa si era dissociato pubblicamente dalle sue ricerche sull’IA, definendola qualcosa di spaventoso, una minaccia per il futuro dell’umanità. Non a caso si era trasferito dagli Stati Uniti in Canada proprio perché non condivideva l’uso dell’IA in ambito militare e si era dissociato da Google, che pure aveva finanziato le sue ricerche, per i pericoli che una rapida commercializzazione e diffusione capillare dell’IA avrebbe comportato. Tra i suoi primi commenti, dopo aver ricevuto il Nobel, emerge chiaramente la preoccupazione sulla nostra capacità di mantenere il controllo dell’IA, e ha dichiarato, “per quanto riguarda la minaccia che queste cose possano sfuggire al controllo e prendere il sopravvento, penso che ci troviamo ad una sorta di bivio nella storia”.

Credo che si debba prendere in seria considerazione queste preoccupazioni. In inglese questo atteggiamento viene chiamato Doomerism (un neologismo che richiama il Dooms day, il giorno del giudizio), qualcosa di più del pessimismo, la convinzione che il futuro ci riservi catastrofi globali. Ma noi sappiamo bene che le etichette non sono mai innocenti e vengono usate come strumenti di lotta politica. Chi suona l’allarme su quello che sta accadendo e vede accendersi una spia che indica pericolo, si tratti di questioni climatico-ambientali o di Intelligenza Artificiale o di Social network, viene etichettato come pessimista, allarmista, ideologico. Chi accusa di “atteggiamento ideologico” la posizione avversaria, intende un sapere interessato ad un potere, intende un partito preso che nega le evidenze scientifiche per perseguire altri scopi.

E qui si apre uno scontro. Un certo tipo di cultura, soprattutto di derivazione economica, considera ideologica ogni considerazione che si allontani dalla semplice fattibilità tecnica e dal semplice utile economico. L’utile è il vero. Quello che si può fare tecnicamente è giusto che venga fatto. Questo è il partito preso, questo sì ideologico, del fare “costi quello che costi”, dello sviluppo senza limiti.  Chi si oppone allo sviluppo, al fare tanto per fare, viene definito “partito del no”, e così liquidato senza venire ascoltato in quello che ha realmente da dire.

Questa divisione tra chi vuole lo sviluppo ad ogni costo, rimandando a domani ogni controllo e verifica dei rischi, e chi invece nutre dubbi e mette in guardia e vuole saperne di più, diventa immediatamente politica. Anche se oggi la politica non è più sentita come il regolatore del cambiamento e dell’evoluzione sociale, essa è attraversata da questa tensione che si sovrappone alla distinzione tradizionale tra destra e sinistra. Oggi accade che la politica progressista, se la parola ha ancora un significato, è caratterizzata dalla volontà politica di rallentare le transizioni e gli sviluppi tecnologici ed economici per stabilire o conservare un qualche controllo politico sul ritmo e sulla direzione. Di contro, quelli che erano i liberal-conservatori optano oggi per accelerare i processi tecnologici e socio-economici riducendo il controllo politico In passato il conservatorismo diffidava dell’accelerazione, la cultura “accelerazionista” era progressista. Oggi è il contrario. La cultura progressista contesta come ideologica la fede nel progresso tecnico e pone attenzione alle questioni ambientali e ad una visione “decrescentista”.

La destra è favorevole alla deregolamentazione, alla privatizzazione e alla competizione, che sembrano garantire una maggiore velocità al cambiamento. La democrazia richiede infatti processi decisionali che impiegano tempo. L’accelerazione impone velocità e la politica finisce per essere vista come un fenomeno di rallentamento, se non di intralcio vero e proprio. Allora si sostiene che la tecnologia e l’economia bastano a se stesse, non hanno bisogno di alcun controllo o limite politico, né di alcuno scrupolo etico, né di alcuna preoccupazione comunitaria per preservare i beni comuni.  Ecco che anche la necessaria transizione ecologica viene vista come un ostacolo e si parla di ritorno al nucleare, al primato dei motori endotermici, di costi sociali della decarbonizzazione e della lotta al cambiamento climatico, e ci si prepara paradossalmente per una transizione, questa sì veramente conservatrice, verso il passato. Eppure i fatti hanno la testa dura e i danni degli eventi climatici estremi, muti ma eloquenti, stanno lì a testimoniarlo.