AGRI…CULTURA: CASALI RURALI ANTICHI

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Attualità /Paolo Rico/174

Attualità RICO/174

«Andare in campagna oggi, è come passare per un vecchio quartiere in demolizione».

Guido Ceronetti, romanziere (1927-2018)

 

 Si torna a vivere in campagna: città troppo alienanti e care. Non è, però, con questo ribaltamento di parametro esistenziale che si giustifica, magari all’insegna del green, l’anagrafe nazionale, la prima ed unica,  dei casali rurali di interesse storico-architettonico, del loro indotto socio-economico e delle pertinenze infrastrutturali.

L’iniziativa del ministero della cultura è piuttosto rivolta a preservare la tipicità italiana del paesaggio agrario tramite la riabilitazione edilizia e la valorizzazione modellistica delle residenze fondiarie. Sono fabbricati sorti tra XIII e XIX secolo, nell’intervallo evolutivo cioè delle alterne fortune della nostra campagna, da prioritaria ascesa collettiva a generalizzata crisi pre-industriale. L’intervento ha una copertura finanziaria di 10milioni di euro: stanziamento Pnrr, che il MiC ha deliberato nell’ottica di quel marketing territoriale teso a conferire al Paese un implementato asset di riconoscibilità. Quel mosaico di investimenti è in grado di dare smalto, nel caso, a ville di campagna, masserie; fattorie e collegate servitù come canali irrigui, sentieri interpoderali, impieghi produttivi e rimesse di foraggio. Ma anche  derrate alimentari e datate tecnologie coltivatrici, oltre a pozzi di attingimento idrico o abbeveratoi per l’armentizio.

Come funzionerà il censimento ministeriale? E’ stato insediato un team di esperti, incaricato della catalogazione patrimoniale degli immobili prescelti per un’opportuna rivitalizzazione. Si prevede la compilazione di quasi 50mila schede negli 8 lotti in cui è stato suddiviso, su scala pluriregionale, il territorio nazionale da investigare e rilevare. Dall’articolata operazione, che ha portato già alla compilazione di circa 900 moduli, risulterà un’aggiornata mappatura di carattere storico, geografico, perfino geologico e naturalistico, di ampi spazi agrari con preminente interesse diacronico e culturale.

 Nel processare gli ambiti osservati si evidenzieranno anche tutte quelle emergenze, che insistevano, prima di ammalorare in difetto di manutenzione o di scomparire, nei possedimenti in campagna. Ad esempio, le chiesine e le cappelline rurali, ormai riconosciute attrattrici di residenzialità o testimoni di attraversamenti fondiari nelle storiche migrazioni produttive, sia di allevamenti  – il caso degli assi tratturali –  sia di coltivatori, interessati al miglioramento di sementi e specialità, o al potenziamento dei capi zootecnici di ausilio al lavoro agreste.

Quel che permetterà (case study già conclusi nelle Murge o in altri piccoli segmenti del latifondo settentrionale)  una verifica archeologica sulla scelta, per esempio, di agiotoponimi per tantissimi borghi. Oppure sull’individuazione di insediamenti di transizione dalle villae rusticae dell’antichità romana alla rete vicario-paganica dell’alto medioevo, contraddistinto da vicus e pagus, quand’anche non tutti ancora fortificati da cinte murarie urbiche, destinate all’autodifesa, alla sicurezza civica e all’assalto nemico, nelle pianificazioni urbane da incastellamento.

Attività, che si orienterà a riscoprire cisterne a luce, scalinate, ardite cordolate,  apicali terrazzamenti e tipologie domestiche connesse al network della stanzialità coltivatrice. Una vera antologia di marcatori storiografici per un approfondito approccio urbanistico ed economico alle società agrarie succedutesi.

Valore deittico per i giovani, ma anche per la più ampia platea di curiosi, alla base di un’acquisizione educativa di realtà costitutive della parabola della campagna italiana: più che per riorientare il futuro dell’organizzazione della vita associata che un sussidiario di pratiche ecosostenibili per l’oggi.

C’è un precedente: un intervento in Molise, nel sito archeologico di Soepinum, lì dove la Sovrintendenza regionale ha impegnato quasi 200mila euro nel recupero di casali rurali, edificati con il materiale di spoglio  – ahinoi! –  dei manufatti storici circostanti nell’area di Altilia.

 Proprio quanto ci si propone di fare con il riconoscimento dell’interesse culturale dei casali rurali da censire da parte del MiC. Poco più di 5mila le schedature completate, mentre 4.400 nuove rilevazioni nel territorio stanno per essere sistematizzate nello speciale archivio digitalizzato. Sicuramente una fonte, per riordinare i comparti immobiliari individuati; per conoscere le salienze di ambiti finora assai poco analizzati o del tutto marginalizzati. Ma l’anagrafe culturale rappresenta uno strumento di certificazione erariale, di conservazione locale e di utilizzo in prospettiva. Con propositi di pianificare, ad esempio, bonifiche; difese idrauliche; riassetti colturali; sfruttamenti turistico-ambientali, nell’ottica di un aggiornamento bottom-up della considerazione ecocompatibile delle aree interessate dalle rilevazioni. Di qui il favore, che incrocia l’operazione: da parte delle amministrazioni locali, ma anche da parte delle stesse proprietà private, per il recupero funzionale di talune importanti filiere perdute della coltivazione tipica.

Si tratta, com’è comprensibile, di un’attività tanto complessa quanto articolata, in ragione della sterminato spettro dei focus della schedatura, diffusa tra l’ordinarietà catastale e progettuale e la vastità dei collegati infrastrutturali e di servizio. Ma una tale dimensione dà conto del significato pluriverso di un investimento, prioritariamente culturale, volto, cioè, a mettere a nudo un tessuto nazionale di costruito storico con le sue implicazioni architettoniche ed artistiche e i suoi derivati sociali ed economici. Pur se, non dimenticando l’ironia di uno dei più grandi classici, come ORAZIO (65 a.Cr.-8 a.Cr.), dovremmo dircela tutta: «A Roma sogni la campagna; quando sei  davvero in campagna  – da incostante –  esalti la città». Non è così, sembra subito far eco Henry David THOREAU (1817-1862), l’eccelso filosofo dell’ambientalismo ante-litteram: «La sopravvivenza di una città non dipende dai sani comportamenti degli uomini che la abitano, ma da boschi, acqua e natura che la circondano». Risposta attesa dal nostro censimento culturale.