LASCIATECI RESPIRARE: COME LE STROPE. STORIE NEL VENETO E NELLA BASSA PADANA

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 Il Limite / RANIERO REGNI / 174

 

 Chi si impegna per la difesa dell’ambiente e della salute ed impiega energie e vita per quelle che lui o, il più delle volte, lei, ritiene un bene comune minacciato, è spesso criticato e persino denigrato. L’attributo “ambientalista” viene usato come sinonimo di estremista ideologico o fondamentalista. E questi certamente non sono complimenti. Una tale incomprensione genera amarezza e un senso di isolamento. Eppure questo impegno, che ci dovrebbe riguardare tutti, ti fa però scoprire al tempo stesso molti amici. Persone che hanno fatto il tuo stesso percorso, prima di te e meglio di te.

È successo anche a me di scoprire amici in tante parti d’Italia, uomini e donne, giovani e meno giovani, che da moltissimi anni cercano disperatamente di difendere i loro territori, i loro paesaggi, la loro salute, dall’attacco vorace di imprese senza scrupolo e dalla insipienza dei politici e degli amministratori.

È il caso del comitato Lasciate Respirare che è nato a Monselice, in provincia di Padova, quasi trent’anni fa. Come scriveva nel suo bellissimo e insuperato Viaggio in Italia, il vicentino Guido Piovene, “nel Veneto anche il paesaggio è per metà natura e per metà quadro”. Eppure quel paesaggio, che ha ispirato tanti pittori e tanti letterati, è stato in molte sue parti devastato dall’industrializzazione che, se ha sottratto il Veneto alla povertà, facendone “la locomotiva del Nordest”, ne ha anche sfigurato l’ambiente, facendone la seconda regione dopo la Lombardia per cementificazione e consumo di suolo. Si tratta di una contraddizione strutturale, oggi sempre più acuta, tra lo sviluppo e la salvaguardia della bellezza e della salubrità dell’ambiente.

È il destino che è toccato ai colli euganei, la patria di Petrarca, che sono stati scavati e feriti fino a qualche decennio fa e oggi fanno parte di un Parco che però non li riesce a difendere del tutto. A Monselice, uno dei comuni della zona dei Colli, noi di Gubbio, abbiamo trovato degli amici che prima di noi si sono trovati a fronteggiare lo strapotere economico di tre cementerie che insistevano sui centri abitati. Questo faceva della bella cittadina veneta il centro di un triste primato per la presenza di tre industrie insalubri. Oggi due di quegli impianti hanno chiuso, anche per la lotta di migliaia di cittadini che appunto, chiedevano di essere lasciati liberi di respirare un’aria non inquinata, superando l’inaccettabile ricatto, lavoro o salute. Oggi di quei tre impianti ne rimane ancora uno, il cui fumo spira sempre in direzione delle case del centro abitato. Che ancora non brucia rifiuti, come invece succede a Gubbio, dove da mesi due impianti li usano come combustibile, minacciando la salute dei cittadini.

Il comitato di Monselice è stato un modello per la capacità di fare indagini indipendenti sulle matrici ambientali, riuscendo a trovare prove schiaccianti della presenza di diossina nei tessuti animali mettendo gli amministratori con le spalle al muro. Una lotta che dura da trent’anni con un copione che sembra identico a quello di altri luoghi dove esistono conflitti ambientali. Politici che non vedono o fingono di non vedere, sistemi di controllo regionale che svolgono stancamente il loro lavoro cercando in mala fede di rassicurare la popolazione, denunce e controdenunce, ricatti, uso della stampa e di media prezzolati, green washing, regalie e premi di consolazione, e così via.     

Ma il libro, che prende il nome dagli alberi, le strope, che dalle nostre parti si chiamo venchi, ovvero i salici che i contadini usavano in tante maniere per fare canestri o legare le viti, che sono piante umili ma resistenti che, se tagliate, rinascono tenacemente in riva ai fossi.

Il libro, con le sue quattrocento pagine, è ricchissimo di testimonianze dei tanti disastri ambientali, dagli impianti di compostaggio che poi diffondono nei campi i loro veleni agli allevamenti intensivi, dai centri commerciali che devastano la pianura alle strade inutili e agli elettrodotti pericolosi. Clamoroso è il caso denunciato per primo dal comitato Mamme No Pfas. Leggiamo nel libro, “i composti Pfas sono le sostanze chimiche che mezzo Veneto si è ritrovato nel sangue per aver bevuto l’acqua del rubinetto di casa e per aver consumato prodotti alimentari a km zero. Sono l’inquinante perfetto: una numerosissima famiglia di sostanze chimiche (si parla di oltre quattromila composti) che si trovano ormai pressoché ovunque: dispersi in aria, acqua e terreni, in una certa piccola o grande quantità; se li assumiamo si depositano nei nostri organi e tessuti e vi rimangono per anni, non si sa bene quanti. Non hanno colore, non hanno odore, e sicuramente ci hanno reso la vita più semplice grazie alle loro proprietà idrorepellenti. Peccato che contemporanea mente abbiano avvelenato noi e il nostro ambiente per il resto della nostra vita, perché sono praticamente indistruttibili”. Ora il caso è diventato nazionale, addirittura mondiale, ma a suscitarlo sono stati i comitati spontanei di cittadini. “Noi contaminati da Pfas non siamo diversi in nulla dalle altre persone, tranne per il fatto di avere in corpo una certa (variabile) quantità di Pfas, e per il fatto che siamo una popolazione contemporaneamente più ammalata e più a rischio di ammalarsi, rispetto alle popolazioni meno esposte”. Adesso si scoprono Pfas anche nelle acque umbre, anche a Gubbio.

Se ci fosse una coscienza e una partecipazione maggiore da parte dei cittadini, la situazione di abitabilità potrebbe migliorare e molte contraddizioni potrebbero trovare una soluzione vantaggiosa per tutti. Questo libro mostra che è possibile e che bisogna insistere e tenere duro per il bene di tutti.