UNA TERAPIA PER IL NOSTRO TEMPO? LA FILOSOFIA DI KAROL WOJTYLA:

0
521
LETTERATURA E POESIA /Giuseppe Lalli / 174

Letteratura /174

Raccogliendo volentieri la segnalazione del nostro Dante Capaldi, decano del giornalismo e iniziamo a pubblicare dal numero di oggi della Rivista di CentralMENTE la riflessione sulla FILOSOFIA DI KAROL WOJTYLA di Giuseppe Lalli, ricercatore  di Storia locale e studioso di Filosofia* (PLP)

Il 22 ottobre la liturgia della Chiesa cattolica fa memoria di San Giovanni Paolo II (Karol Wojtyla – 1920/2005 – ). L’occasione mi è propizia per riproporre all’attenzione dei lettori una riflessione sul pensiero filosofico di un uomo che ha segnato in maniera indelebile il XX secolo. Lo scritto si riferisce alla presentazione di un libro avvenuta a San Pietro della Jenca nell’ambito della IX edizione del “Giardino Letterario”

(g.l.).

 

 LA FILOSOFIA DI KAROL WOJTYLA: UNA TERAPIA PER IL NOSTRO TEMPO (Riflessioni a margine di un incontro)                                                      

   

“In mezzo alla lotta Dio fa risuonare una campana immensa,  per un Papa slavo.   Egli ha preparato un trono…   Attenti, il papa slavo viene,  un fratello del popolo.”

Juliusz Slowacki (1803-1849)

 

 Dopo tanti libri e libretti dedicati alla figura di Giovanni Paolo II (Karol Wojtyla – Wadovice, 1920/Città del Vaticano, 2005), alcuni poco più che aneddotici, finalmente, nella cornice suggestiva di San Pietro della Jenca, in quel piccolo anfiteatro naturale dedicato agli incontri, alla fine della IX edizione del “Giardino Letterario”, appuntamento culturale che si ripete ogni anno nella stagione estiva, forse unico nella nostra regione per importanza dei temi trattati e per livello culturale dei relatori, è stato presentato un interessantissimo volume dal titolo IN DIFESA DELL’UMANO – La filosofia di Karol Wojtyla , D’Ettoris Editori.

L’autore, Daniele Fazio, ha illustrato il suo libro con parole chiare, pacate e profonde, catturando per più di un’ora l’attenzione di un pubblico molto interessato e desideroso di ascoltare buona cultura e sana dottrina (e solo Dio sa quanto ce ne sia bisogno in questi nostri tempi di disorientamento morale).

Il testo tratta del pensiero filosofico di Karol Wojtyla, una pagina poco nota della biografia intellettuale del futuro papa, scritta allorché il suo pontificato era lontano, nell’ordine del tempo, dal suo orizzonte esistenziale, benché in essa siano già presenti concetti che troveranno compiuta attuazione nel suo magistero di pontefice, segnatamente, ma non  solo, nell’enciclica Fides et ratio (1998), scritto nel quale si affronta il rapporto, cruciale per il credente, tra la fede nella rivelazione divina e la fiducia nella ragione umana.

Quale uomo ? Quale natura ? Quale morale ? Che cosa si deve intendere con il concetto di ‘persona’ ?

Sono queste le domande alle quali Karol Wojtyla, visitato dalla croce fin da giovane, ha cercato di dare una risposta convincente.

Wojtyla, come ci ricorda Giovanni Reale (1931-2014), è stato un pellegrino che ha battuto le tre strade che G.W. Hegel (1771-1831) considerava le massime espressioni dello spirito umano. Egli infatti è stato poeta, filosofo e teologo: una visione d’assieme che gli ha consentito di condurre un’indagine a tutto tondo sull’uomo, sulla scia di un percorso, intellettuale ed esistenziale – dal bello (estetica) al buono (etica)  e infine a Dio (fede) – che è stato lo stesso di un altro filosofo cristiano, Sören Kierkegaard (1813-1855).

Il poeta diventa così profeta – come aveva già intuito Platone (428/427 a.C.-348/347 a.C.) – ed esprime col suo linguaggio, per immagini, come Dante nella Divina Commedia, ciò che il filosofo e il teologo chiariscono in concetti.

I testi teatrali del giovane studente universitario Karol consistono in una prosa scarna: un teatro cosiddetto “rapsodico” (che sarà anche una forma di resistenza: al nazismo prima e al comunismo dopo), un teatro  filosofico, esistenziale, incentrato sulla parola, in cui più che la trama importa ciò che avviene nella coscienza. Il giovane Wojtyla non ama l’arte fine a sé stessa: per lui teatro e poesia sono chiamati a suscitare in chi ascolta o legge una tensione morale che possa comunicare qualcosa che faccia riflettere sulla vita e sul suo senso. Niente a che vedere con l’individuo gettato nel mondo e spaesato di cui parla una certa letteratura esistenzialistica contemporanea.

Da qui un pensiero filosofico che, pur muovendo da una precisa visione antropologica, non teme di confrontarsi con spirito di apertura con le correnti culturali del proprio tempo, in primo luogo con quella  fenomenologia che nel secolo scorso ha avuto in Edmund Husserl (1859-1938) e Max Scheler (1875-1928) i suoi massimi rappresentanti, corrente di pensiero conosciuta negli ambienti intellettuali polacchi già prima della seconda guerra mondiale. A tale proposito, per meglio comprendere la riflessione filosofica del futuro papa è opportuno chiarire il  concetto di “fenomenologia”.

Si tratta essenzialmente di un metodo di ricerca che, al fine di conferire alla filosofia il carattere di una scienza rigorosa, si prefigge di tornare alle cose stesse, contro le costruzioni astratte e le soluzioni solo apparenti che si trasmettono acriticamente da una generazione all’altra. In tale prospettiva, si assumono, come punto di partenza della ricerca, delle verità indubitabili, delle evidenze incontestabili. Questo risultato verrà raggiunto attraverso la descrizione dei “fenomeni” che si annunciano e si presentano alla coscienza dopo che sono state messe tra parentesi tutte le persuasioni filosofiche e i risultati delle scienze in relazione al fatto o alla cosa oggetto della ricerca (il “fenomeno”, appunto). In altri termini, su tutto ciò che non è in sé evidente, bisogna sospendere il giudizio.

Di questo metodo di indagine Wojtyla mostra di apprezzare la capacità di penetrare l’essenza delle cose, ma ne respinge la tendenza al soggettivismo (o idealismo che dir si voglia), vale a dire la tendenza a far coincidere la realtà col pensiero stesso (ciò che costituisce il grande errore che attraversa la filosofia moderna a partire da Cartesio – non a caso il pensiero di Husserl è stato definito un cartesianesimo radicale – e da Kant), e così tradendo la sua stessa finalità. La realtà che  sta davanti al soggetto, infatti, affinché la ricerca metafisica abbia un fondamento ontologico, non può che esistere indipendentemente dal soggetto che la pensa: posizione, questa, che va sotto il nome di ‘realismo’, che è alla base dell’impostazione metafisica di Tommaso d’Aquino (1225-1274), e che Woitila condivide con Roman Ingarden (1893-1970), allievo di Husserl e illustre rappresentante della fenomenologia in Polonia.

Quello del giovane Wojtyla è un cammino analogo a quello compiuto da Edith Stein (1891-1942), la filosofa di origine ebrea allieva di Husserl e compagna di studi di Ingarden,  appassionata fin da ragazza  della verità,  dapprima atea, poi convertitasi al cattolicesimo e fattasi suora  carmelitana con il nome di Teresa Benedetta della Croce (un itinerario umano e intellettuale davvero unico), morta ad Auschwitz e canonizzata dal papa polacco, che ben conosceva il suo pensiero, l’11 ottobre 1998; con la sola differenza che mentre la filosofa carmelitana, sviata nel soggettivismo, dovrà riconquistare la verità metafisica col sudore della fronte e l’umiltà dell’intelletto, il futuro papa deve solo rimanere coerente con la sua visione cristiana.

Due sono le opere strettamente filosofiche di karol Woitila: Amore e   responsabilità (1960)  e Persona e atto (1969), opere essenzialmente di filosofia morale, ma a cui non è estraneo un robusto e coerente impianto metafisico.

Amore e responsabilità, i cui temi sono anticipati nell’opera teatrale La bottega dell’orefice (1960), nasce all’interno dell’esperienza pastorale fatta dal futuro papa tra i giovani. In essa Wojtyla interpreta la decisiva esperienza dell’innamoramento e dell’amore coniugale servendosi del metodo della fenomenologia (sopra descritto), che rilegge alla luce dell’etica cristiana, per mostrare, in un’ottica che respinge sia il permissivismo che il rigorismo, in che modo è vero che il vissuto cristiano realizza in maniera compiuta il valore umano della sessualità.

Ma è in Persona e atto che Karol Woitila dispiega tutto il suo potenziale filosofico. Nel saggio egli si prefigge di dare una esauriente interpretazione dell’uomo e del suo essere nel mondo, del significato del suo essere persona. La grande originalità dell’opera sta nel fatto che l’autore, pur appoggiando la sua interpretazione sia sul confronto con i classici del pensiero filosofico (Aristotele e Tommaso d’Aquino in primo luogo) che con la lezione della fenomenologia, chiede una verifica delle conclusioni a cui perviene al lettore stesso, alla luce delle  riflessioni che  è chiamato a fare sulle sue concrete esperienze di vita.

( Segue nel n.175 della RIVISTA di CentralMENTE)

GIUSEPPE LALLI  è nato ad Assergi , frazione dell’Aquila, il 5 settembre 1954. laureato in Scienze Politiche ad indirizzo storico-politico e in Filosofia e Comunicazione. E’ stato Cultore della Materia presso la cattedra di Storia Moderna e Contemporanea della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università dell’Aquila tenuta dal prof ,Umberto Dante. Si dedica assiduamente alla ricerca di storia locale, e allo studio della filosofia. È membro del Comitato Direttivo dell’Istituto Abruzzese di Storia della Resistenza e dell’Italia Contemporanea. È coautore insieme a Enrico Cavalli di Pagine di religiosità aquilana.