MARCELLO ERCOLE E LE SUE VETRATE AL SANTUARIO DELLA MADONNA DI PIETRAQUARIA AD AVEZZANO

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Attualità /Paolo Rico/171

L’«inchino» di Avezzano (AQ) ad un grande artista. Cerimonia istituzionale al santuario del Salviano, custode di tante opere dell’artista scomparso.

Il metodo non guida il pensiero capace di inventare, ma la riflessione che ne ricostruisce il percorso.

Nicolás Gómez Dávila (1913-1994)

Più proiettivo che nostalgico. Meno canonico che sperimentatore. Più rigoroso e autocritico che definitorio e assertivo. Oso: più Pomilio [1], inquieto e prospettico, che Silone [2], en lutte ed ultimativo. Ma una semantica problematica, scandita poc’anzi tra avversative e comparazioni, non può bastare ad un profilo artistico, assertivo e normativo. Come si propongono, invece, gli sviluppi, perseguiti  – talvolta, irrelati; talaltra, consequenziali –  di Marcello Ercole (Luco dei Marsi 1926 – Avezzano 2020). Pittore di riferimento non solo nella sua Marsica: apprezzato, infatti, nei circoli italiani ed esteri della contemporaneità, quelli maggiormente sensibili ai processi di maturazione delle personalità più spiccate e riconoscibili della tavolozza.

Di qui il recente ricordo, che al compianto pittore ha dedicato ufficialmente il Comune di Avezzano, facendo apporre in uno spazio pubblico sul sagrato del santuario della Madonna di Pietraquaria una targaomaggio a futura memoria. In qualche modo quasi identificazione toponomastica, a suggellare l’amore, che il Nostro annetteva a quel ritiro di spiritualità: nel territorio, naturale riserva di ossigeno ed ecologico osservatorio di spazialità. Riconoscibile incubatore di creato e strumentale cassaforte di creatività; compendio di realtà e sorgente proattiva di scoperta e di pratica artistiche. Perché al nome di Marcello Ercole pur si lega il sito religioso avezzanese.

Lì dove il N. volentieri riparava, ad intercettare la coscienza del suo pensiero, per tradurla graficamente e fissarla nella concezione di una propria espressività formale; di una gradualità operativa; di arte tout court. Cosicché nel santuario si possono ammirare sue vetrate a tema sacro e un grande affresco. Tutto, a  conferma del vincolo di stretta cointeressenza tra l’esteriorità del lavoro artistico di Marcello Ercole e l’interiorità della sua vocazione professionale, scandita sui picchi dello «spessore» del luogo.

Il sindaco di Avezzano Giovanni Di Pangrazio ha dichiarato che la scelta  dell’amministrazione è volta ad indicare, particolarmente alla gioventù del comprensorio, una nobile piattaforma di crescita personale e collettiva, significativamente rintracciabile negli esiti produttivi e nella vita sociale ed affettiva di Marcello Ercole. Unanime su questo il convincimento delle numerose autorità intervenute alla cerimonia commemorativa, alla presenza della vedova dell’artista, Wanda Polino, e delle figlie,  Tiziana e Simonetta, abbracciate dalla stima per il maestro scomparso e dalla simpatia di amici di lunga data. Così, il cultore di storia patria,  Giovambattista Pitoni ed anche il restauratore, romano d’adozione, Guido Bianchini, al quale si devono l’iniziativa della targa omaggio e la tenacia nel sostenerla, tra la frammentazione delle responsabilità amministrative e l’impervio percorso attuativo. Ma l’intensa attività e la naturalezza espressiva dell’opera del N. l’hanno sempre resa leggibilissima e godibile dalle platee più esigenti e meno addestrate. A ragione della trasversalità, che innerva le dIfferenti stagioni artistiche dell’itinerario concettuale percorso da Marcello Ercole.

Evidentemente pomiliano, come ci si interpellava nell’incipit, perfino nell’implementazione delle sue incursioni formali, dal debutto cubista, ma a suo modo, soprattutto dopo il rapporto intercorso con Dalì. Perché nella contaminazione surrealista e simbolista, talora metafisica o astratta dell’opera, non permangono comunque generiche o deittiche le manifestazioni interpretative di scuole, rese e correnti circoscritte, iterate e strutturate. Nel segno di una matrice sostanzialmente eclettica, mai onnicomprensiva, però, e trattatistica.

Dalla figurazione alle nature morte; dal paesaggio all’anatomia umana; dall’esegesi sacra alla fotografia sociale, tutto, in Marcello Ercole, si concede come un processo dialettico, in cui certamente la ragione fa premio al sentimento, pur se la coscienza non si sottomette mai alla realtà avulsa ovvero all’esteriorità decontestualizzata dalla kültur identitaria: non soggettiva, nel caso, ma patrimonio di una collettività condivisa, con idiotismo denominata  marsicanità. Uno spirito pop, azzarderei, che non si declina come nostalgia di tempi e pratiche civili, in quanto Marcello Ercole è immune da una patologia del νόστος (nòstos), che riduce a circolarità consuetudinaria,  a scolastica, il pluriverso interiore e il suo traducibile discorso artistico, riuscendo a preservarne l’infinita risorsa plastica propria dell’ispirazione artistica e della sua sterminata pluralità compositiva.

 Come si attesta in fisica, infatti, «la conoscenza si sta dirigendo verso una realtà non meccanica, che comincia a far assomigliare l’Universo ad un grande Pensiero»[3]: quella complessità esperita, che Marcello Ercole ha saputo imbrigliare e plasmare in ogni sua produzione artistica.

 

[1] «Quasi che l’unico effetto prodotto (…) della libertà fosse un bisogno insolito di disciplina» (M. POMILIO, Il nuovo corso, Matelica (MC), Hacca 2014, pag.193).
[2] «La politica spinge al potere, la cultura spinge alla verità o alla testimonianza» (I. SILONE in un’intervista al Primorski Dnevnik, anno XXXIV, St. 234 del 10.01.1956)
[3] Arthur Stanley EDDINGTON, La scienza e il mondo invisibile, Roma, Ares ‘2018, pag. 94; James JEANS, L’Universo misterioso, Milano, Treves-Treccani-Tumminelli 1932, pag. 137.