ARSENIJ TARKOVSKIJ : “STELLE TARDIVE. VERSI E PROSA”

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“Stelle tardive. Versi e prosa” è il titolo di una  selezione delle poesie più belle di Arsenij Tarkovskij.( nato a Elisavetgrad in Ucraina nel 1907 e morto a Mosca nel 1989).

Tarkovskij, padre del celebre regista Andrej Tarkovskij, è una figura letteraria di grande rilievo, sebbene ancora poco conosciuta al di fuori della Russia. Questa raccolta rappresenta un’importante occasione per il pubblico italiano di avvicinarsi ad un poeta di straordinario talento, la cui opera merita di essere riscoperta ed apprezzata.

Le poesie di Tarkovskij sono pervase da una profonda sensibilità e da una struggente bellezza. La sua scrittura, caratterizzata da una liricità intensa e da immagini evocative, riesce a toccare corde profonde.

Uno degli elementi di grande valore di questa raccolta è rappresentato dalle traduzioni di Gario Zappi, che, nonostante risalgano a più di vent’anni fa ad opera di un giovanissimo traduttore, riescono a preservare intatta la bellezza e la complessità delle opere originali di Tarkovskij. nell’offrire, al lettore italiano, una versione fedele e vibrante dei testi.

“Stelle tardive. Versi e prosa” è un’opera imperdibile per chiunque ami la poesia e la letteratura di qualità, nell’offrire un prezioso contributo alla conoscenza della letteratura russa del XX secolo.

(Dal ciclo autobiografico Costantinopoli].

E lo sognavo, e lo sogno,
e lo sognerò ancora, una volta o l’altra,
e tutto si ripeterà, e tutto si realizzerà,
e sognerete tutto ciò che mi apparve in sogno.

Là, in disparte da noi, in disparte dal mondo
un’onda dietro l’altra si frange sulla riva,
e sull’onda la stella, e l’uomo, e l’uccello,
e il reale, e i sogni, e la morte: un’onda dietro l’altra.

Non mi occorrono le date: io ero, e sono, e sarò.
La vita è la meraviglia delle meraviglie, e sulle ginocchia della meraviglia
solo, come orfano, pongo me stesso,

solo, fra gli specchi, nella rete dei riflessi
di mari e città risplendenti tra il fumo.
E la madre in lacrime si pone il bimbo sulle ginocchia.

*

Studio su un libro di pietra il linguaggio dell’eterno,
scivolo tra due macine come un chicco di grano nel rotare delle pietre,
sono per intero già immerso nello spazio a due dimensioni,
il mulino della vita e della morte m’ha spezzato la spina dorsale.

Cosa fare, o pastorale d’Isaia, della tua rettitudine?
La pellicola senza tempo, né alto, né basso, è più fine d’un capello.
Nel deserto il popolo si radunava sui massi, e nell’arsura
la pianeta di stuoia da re mi recava sollievo alla pelle.

Notte di neve a Vienna

Sei folle, Isora, folle e malvagia,
a chi hai donato il tuo anello col veleno,
chi hai atteso appiattata dietro la porta della taverna?
Mozart, bevi, non t’affliggere, morte e gloria vanno insieme.

Ah, Isora, i tuoi occhi sono splendidi,
più neri della tua anima, così nera e così trista.
La morte è come la passione, vergognosa. Aspetta, ancora un po’,
fa nulla, ora soffocherà, Isora.

E allora vola, senza sfiorare coi piedi il manto nevoso:
c’è ancora qualcuno da poter rendere sordo
e cieco, ci sono ancora i morsi della fame,
il lampione dell’ospedale e la vecchia infermiera.