CAPALBIO, STAZIONE DI CAPALBIO!

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Editoriale  / 16

 di Pierluigi Palmieri

 Qualche settimana fa, nel corso del consueto confronto settimanale con l’amico Roberto Puzzu, con il quale condivido il piacere e l’onere di preparare la messa on line della nostra Rivista, è nata l’idea di affrontare sulla nostra testata la tematica delle “Bonifiche” realizzate in Italia nelle varie epoche, e di offrire ai nostri lettori un quadro aggiornato sullo stato attuale in cui versano quelle terre un tempo insalubri e improduttive. Lo spunto è nato dal fatto che nel weekend ero stato in Maremma, purtroppo non a fini turistici bensì per porgere l’ultimo saluto ad uno dei miei più affezionati cugini. La sua  storia, e quella della sua famiglia, sul piano umano e sotto il profilo sociale,  ha una valenza unica. A Capalbio  ho rincontrato vecchi amici e parenti, con i quali mi sono intrattenuto per qualche ora e, come capita spesso, non sono mancati i “revival”.  Con il supporto di Renzo Dominici ho ricostruito la trama di quello che potrebbe assumere i contorni di un vera e propria saga.  Che va raccontata partendo dai tempi in cui la riforma fondiaria era ancora in mente dei, e la Maremma  era persistentemente “amara”, come dipinta da Giovanni Fattori ci farebbe arrivare ai giorni nostri ad ammirare una delle realtà più avanzate del nostro Paese in termini di economia agricola, ma anche in ambito  naturalistico e turistico. 

Bovi al Carro – Dipinto di Giovanni Fattori -1867

Al centro della storia c’è una famiglia che in Maremma è arrivata per motivi del tutto diversi da quelli che spinsero migliaia di coltivatori di altre regioni, tra i quali molti marsicani, a trasferirsi in Toscana in occasione della “colonizzazione”  finalizzata alla trasformazione  di quelle terre  incolte e desolate, in campi fertili e produttivi. Fu l’assegnazione del tutto casuale della sede di Capalbio al Capostazione Armando Abate  a dare inizio al  “romanzo”, in cui ciascun personaggio ha un suo ruolo significativo sotto il profilo umano e  sociale. Lo spirito di solidarietà, il senso di responsabilità, la coesione della famiglia, la resilienza e la forza d’animo, sono fattori trasversali a tutti  gli Abate e qui di seguito trovate un piccolo assaggio del loro vissuto che ha lasciato un solco indelebile su quel territorio.

Nel 1937 il Capostazione Armando Abate viene trasferito a Capalbio da Avezzano, dove aveva conosciuto la giovane moglie Flora il cui padre Eliseo D’Eramo gestiva un Ristorante  nei pressi della Stazione del Capoluogo della Marsica. Flora raccontava che sulle prime rimase scioccata   dall’ambiente “selvaggio”  che circondava la Stazione dove era situato anche l’alloggio del Capostazione. La giovane coppia però non tardò a ad integrarsi  fino a diventare il punto di riferimento della piccola comunità. Flora, energica e piena di risorse, aiutava le donne di Capalbio Stazione, compensando le carenze legate all’analfabetismo, all’assenza di supporti sanitari  e sociali. Affiancava anche  il parroco nelle funzioni religiose e provvedeva all’addobbo della Chiesa in occasione delle festività. Sempre pronta ad intervenire nelle situazioni difficili,  a supportare gli ammalati e perfino ad esercitare l’arte  della maieutica con le partorienti.  Da parte sua mise al mondo, nell’arco di poco più di quattro anni Marco, Massimo e Maria Teresa.

Foto d’epoca. Matrimonio di Armando Amate e Flora D’Eramo. La data della dedica a Roberto Palmieri e Fedora D’Eramo è scritta come segue 5/VII- XXXVI

Ma quasi dieci anni dopo (1956) proprio mentre Flora era in attesa del quarto figlio, sulla famiglia Abate cadde un fulmine a ciel sereno: nel novembre del 1956 il capo famiglia fu travolto da un’auto impazzita mentre, con il fratello Augusto,  percorreva a piedi la statale Aurelia. Andavano da un contadino che aveva preparato per loro dei cesti di uva appena raccolta. Tenevano  per mano Maurizio, tre anni, il figlio di Augusto  quando si accorsero che un’auto proveniente che viaggiava dal lato opposto con un improvviso cambio di direzione stava piombando addosso a loro. Per salvare il bambino lo spinsero nel fosso che costeggiava la strada, ma entrambi i fratelli furono investiti con conseguenze letali per Armando e con lesioni permanenti ad una gamba per Augusto.

Quattro mesi dopo Flora dette alla luce il bimbo che portava in grembo al momento della tragedia e gli impose il nome del marito. Ebbe  poi la forza di far crescere dignitosamente i quattro figli. Massimo interruppe gli studi e, non ancora maggiorenne,  si mise a lavorare sodo impegnandosi nei lavori più disparati. Maria Teresa,  conseguì il diploma Magistrale e si dedicò all’insegnamento  nei  Corsi di recupero serali per il conseguimento della licenza elementare. I due vollero che Marco proseguisse gli studi universitari a Pisa e  furono ripagati dei sacrifici quando il fratello fu  tra i primi dieci laureati in  Ingegneria Elettronica in Italia. Marco  fu ai vertici prima all’Italsider di Piombino e poi alla SOL. Primaria industria per la produzione dei Gas Tecnici. Massimo  entrò in Ferrovia come Assistente di Stazione e  Maria Teresa nei primi anni settanta vinse il Concorso da Capo Stazione, aperto per la prima volta in Italia anche alle donne. Un mestiere quello del ferroviere che appartiene agli Abate, visto che lo sono stati sia Mario e Nello, gli altri fratelli di Armando e lo steso Augusto è stato per anni il Titolare di Orbetello. Torna il sereno quindi nella nuova casa  costruita proprio di fronte alla Stazione Ferroviaria nella quale  I due fratelli per anni si alterneranno allo stesso microfono con il quale Armando avvertiva  i viaggiatori che il treno è fermo alla stazione : CAPALBIO, STAZIONE DI CAPALBIO!. Il polivalente Massimo però, ormai promosso a Capo Stazione può finalmente dedicarsi anche alla sua passione di sempre, la politica, che per lui significava fondamentalmente mettersi a disposizione degli altri. Del suo spirito di servizio hanno usufruito generazioni di capalbiesi e per gli  amici più stretti è stato un fratello.

Qui Massimo è ritratto con Gianluca il primogenito avuto dalla moglie Rita, Arriverà poi anche la splendida Serena

Fu eletto per due mandati Sindaco del Comune di Capalbio, lavorando, con  il collaudato “metodo Flora”, per l’intera comunità. Interruppe il terzo mandato per assumere la Carica di Presidente della ASL Colline di Albegna ( Orbetello, Manciano e Pitigliano). 

Corbezzoli caratteristici della Macchia Mediterranea (Foo di Renzo Dominici)

 Sotto la sua guida quella parte di Maremma  crebbe in maniera esponenziale. La salvaguardia della flora caratteristica della macchia mediterranea , le dune, la  Riserva naturalistica del Lago di Burano e anche l’impiantistica sportiva, si affiancarono alla ormai fiorente attività agro-alimentare e  trasformarono Capalbio Scalo in un polo turistico di prim’ordine. Di questo periodo tratteremo prossimamente nello spazio che, come dicevo all’inizio di questo Editoriale dedicheremo alle varie  Bonifiche che hanno interessato il territorio italiano. Lo faremo con il supporto del già citato Renzo Dominici , marito di Maria Teresa e del carissimo Peppe Russo,  amico del cuore  e primo testimone, anche lui da ferroviere, del vissuto di Massimo.

Capalbio Scalo- La Bacheca del “mini museo” allestita da Peppe Russo nel Ristorante gestito dai figli                                                       (Foto di Renzo Dominici)

I suoi figli gestiscono un avviatissimo Ristorante attiguo proprio alla Stazione di Capalbio Scalo e lì Peppe, calabrese originario di Cirò, ha allestito un “Museo” in miniatura dove conserva attrezzature e divise dei tempi in cui Armando Abate e poi i suoi eredi Capi Stazione annunciavano “Capalbio, Stazione di Capalbio!”.    Sarà idealmente zia Flora, ferroviera ad honorem , ad alzare la classica  paletta e, indossando il berretto d’ordinanza, a far trillare il fischietto per far ripartire il treno e i vagoni pieni di ricordi  che momentaneamente si ferma qui.