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Un futuro di plastica

 Il Limite /162

di Raniero Regni    

Limite / 162

In un mare di plastica

 

 Il settore industriale più potente del mondo è quello dei produttori di combustibili fossili. Vanno ricercati lì ancora i più grandi profitti e sono lì le resistenze più gradi ad una svolta ecologica del nostro pianeta. Petrolio, carbone e gas non solo combustibili ma sono anche alla base dell’altra potentissima industria che è quella della plastica e di tutti i suoi infiniti derivati. La necessità di decarbonizzare la nostra società va di pari passo con la richiesta di ridurre la platica.

È nota a tutti l’isola artificiale creata dalle correnti nell’oceano, fatta di detriti provenienti da tutto il mondo. È altrettanto nota a tutti la presenza delle microplastiche che sono entrate nella catena alimentare e quindi nei nostri corpi e sono estremamente pericolose per la salute.

L’industria della plastica fa parte di quel sistema che cerca di contrastare chi lotta per arrestare le conseguenze catastrofiche del cambiamento climatico. La strategia è sempre la stessa: la disinformazione, l’inganno, la divisione, la deviazione, il rallentamento, la disperazione e il fatalismo.

Ci è stato detto che la plastica bastava riciclarla e il problema dell’eccesso della sua produzione sarebbe stato risolto. Oramai è chiaro che gran parte della plastica prodotta non può essere riciclata. Tra il 1950 e il 2021, l’umanità ha prodotto circa 11 miliardi di tonnellate di plastica vergine, pari al peso di 110.000 portaerei statunitensi. Solo circa 2 miliardi di tonnellate sono ancora in uso. Il resto – circa 8,7 miliardi di tonnellate – è costituito da rifiuti: il 71% è finito in discarica o in qualche altro luogo dell’ambiente, compresi gli oceani; il 12% è stato riciclato; il 17% è stato incenerito. Al ritmo che stiamo seguendo, i rifiuti plastici globali aumenteranno del 60% entro il 2050.

Anche la soluzione della combustione appare assolutamente impercorribile. La National Library of Medicine, importante rivista scientifica, ha pubblicato recentemente un articolo in cui si sostiene che “l’inquinamento da plastica è stato riconosciuto nel discorso pubblico come una sfida ambientale urgente e ci sono indicazioni che i governi sono sotto pressione per agire per affrontare il problema. Di conseguenza, è in corso di negoziazione un trattato delle Nazioni Unite sull’inquinamento da plastica. È imperativo che qualsiasi trattato globale sulla plastica riconosca la combustione a cielo aperto dei rifiuti plastici come un aspetto chiave dell’inquinamento da plastica e un’immediata preoccupazione per la salute pubblica. Nonostante i discorsi pubblici si concentrino sui rischi per la salute associati alle microplastiche e alle sostanze chimiche che alterano il sistema endocrino utilizzate come additivi nella plastica – entrambi oggetto di ricerche in corso – la combustione a cielo aperto dei rifiuti di plastica dovrebbe rimanere un argomento di primaria importanza da affrontare”. (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC10786097/).

Il nostro paese, uno dei più grandi produttori di oggetti di plastica monouso si è opposto alla indicazione dell’Unione Europea che ha imboccato la strada del riuso e non del riciclo. È di qualche giorno fa la notizia della procedura di infrazione in cui è incappata l’Italia perché non ha recepito pienamente e correttamente la direttiva sulla messa al bando della plastica monouso. L’Italia ha ora due mesi di tempo per fornire le proprie risposte. Ma questo è indice che non stiamo andando nella direzione giusta, cerchiamo di fare delle politiche furbe e tirare avanti facendo cassa, non delle politiche intelligenti che ci aiuterebbero davvero a costruire un futuro non di plastica.

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