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RIDUFLAZIONE: COS’E’ QUESTA ROBINA QUA?

Valore & Valori 161

di Mario Travaglini

 In economia e finanza da sempre la nostra lingua è stata colonizzata da termini inglesi di difficile o impossibile traduzione per effetto sia di una egemonia dei mercati borsistici (New York e Londra) e sia per il contributo dato alla scienza economica e finanziaria  da studiosi, ricercatori e premi Nobel di origine o residenza anglosassone.

In questo periodo di turbolenza inflattiva è passato sotto silenzio un fenomeno che i consumatori più attenti avranno certamente constato nel corso degli acquisti operati soprattutto negli ultimi 15 mesi. Shrinkflation è un termine composto da shrink (“restringere” – “ridurre”) e inflation (inflazione) portato all’attenzione del mondo da una delle solite gaffe di Joe Biden durante il discorso annuale sullo stato dell’Unione. Il Presidente, vestendosi da pedagogista, per far capire le differenze tra le varie forme che può assumere l’inflazione, ha preso di mira un sacchetto di patatine per illustrare il  caso in cui le aziende riducono il volume dei prodotti che commercializzano per evitare di aumentare il prezzo unitario. Incurante del contesto, Joe ha affermato che, evitando modifiche alle dimensioni e ai prezzi delle confezioni e riducendo al contempo la quantità di cibo all’interno, le aziende sperano che la maggior parte dei consumatori non si renda conto che in realtà ricevono una quantità ridotta di patatine, biscotti o qualsiasi altra cosa interessata dalla Shrinkflation.

In Italia è un fenomeno assai noto, spesso utilizzato durante le svalutazioni della lira, ma nessuno si è mai sognato di chiamarlo “riduflazione”. Trattasi semplicemente di  “sgrammatura”, ossia quella pratica, tornata oggi di moda, che consente alle aziende di mantenere costante il flusso delle vendite, degli utili e la redditività riducendo i costi. In sostanza è una strategia spesso utilizzata come alternativa all’aumento dei prezzi di vendita in presenza di un processo inflattivo.

Tuttavia Joe Biden, credendo che la misura porrà fine alla “Shrinkflation.”, è andato ben oltre  ed ha invitato il Congresso a votare a favore di un nuovo disegno di legge per penalizzare le aziende che riducono la quantità di un prodotto contenuto nella confezione di origine. Lui e il suo staff  ne sono convinti perché credono che la “riduflazione” sia causata dall’avidità aziendale, quando, in realtà, essa è una risposta razionale all’aumento dei costi indotti dalla perdita del potere d’acquisto della moneta via inflazione.

La verità è che le aziende riducono le quantità dei prodotti nelle confezioni per far fronte all’aumento dei prezzi delle materie prime necessarie alla loro produzione senza aumentare direttamente il prezzo pagato dai consumatori. Non riesco a pensare che l’avidità sia l’unico aspetto che possa condizionare la riduflazione ; il fatto che essa  si verifichi solo quando le banche centrali perseguono politiche  inflazionistiche dovrebbe consentire a chiunque sia in grado di pensare logicamente a questi problemi di capire che sono proprio le banche centrali, con la BCE in testa, e non l’avidità aziendale, che causano il problema.

Rendere la Shrinkflation un crimine federale è assolutamente ridicolo perché da un lato costringerebbe più aziende ad aumentare direttamente i loro prezzi  unitari e dall’altro, oltre a dare ai consumatori  una visione più chiara del reale impatto dell’inflazione sul loro tenore di vita, metterebbe in moto un formidabile acceleratore del processo inflattivo. Se la BCE e la FED fossero davvero impegnate a porre fine all’inflazione dovrebbero fare pressione sui governi di riferimento affinché mettessero mano alla spesa, tagliandola, e  riducendo il debito nazionale, che dappertutto ha assunto ormai proporzioni insostenibili. Il debito che in questi giorni fa più notizia non è neppure quello americano, avviato a superare i 36.000 miliardi, bensì quello francese che i cosiddetti tecnici, dopo la batosta elettorale di Macron, hanno scoperto  solo ora aver valicato i 3100 miliardi, giustificando anche la relazione con la quale Standard & Poor’s ha abbassato il rating della Francia da AA a AA−, nella quale si cita espressamente l’abnorme entità che il deficit ha raggiunto proprio nel mese di  maggio superando in termini assoluti perfino quello dell’Italia.  .

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