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Finalmente una buona notizia, aperta la ciclovia nel cuore dell’Appennino

 Il Limite /158

di Raniero Regni   

Incastonata tra pre-Appennini e Appennini, Gubbio, una città dalla bellezza unica del profondo centro, ha sempre lamentato il suo isolamento. Lontano dalla via Flaminia, che le passa a nord, e dalla valle del Tevere, che le passa a sud, anche storicamente è rimasta una città umbra, che poco ha sentito nei secoli l’influenza etrusca.

Dopo gli splendori medievali del XIII-XIV secolo, l’isolamento l’ha condannata ad un lento declino, che è stato pagato anche nel ‘900 con un paio di ondate di emigrazione. L’isolamento e lo spopolamento, come è successo a tante aree interne dell’immensa zona appenninica che fa da spina dorsale a tutta la penisola (un’area grande quanto l’Austria!), hanno rappresentato la sua povertà ma oggi appare come la sua ricchezza. Centinaia di ettari di boschi e campi collinari, angoli ancora incontaminati di una struggente bellezza e di una ricchissima biodiversità, rappresentano la risorsa più importante di questo territorio.

Oggi, la superstrada che collega Orte ad Ancona, che si è aggiunta alla strada della Contessa, che collega il versante tirrenico con quello adriatico, tra Umbria e Marche, l’hanno sottratta a questo isolamento, almeno dal punto di vista viario. Ma l’isolamento era legato anche e soprattutto all’assenza di una ferrovia. E questo è vero per Gubbio ma anche per molte altre zone d’Italia, che i progettisti di future opere faraoniche oggi ignorano. È una caratteristica di tutta la penisola, che è collegata bene lungo gli assi verticali tra nord e sud, che scorrono lungo il Tirreno e l’Adriatico, ma è collegata male sull’asse orizzontale tra est e ovest, perché in quel caso si deve attraversare, in ogni punto, la dorsale appenninica.

Eppure già nel 1886 esisteva una ferrovia, quella dell’Appennino centrale che collegava Fossato di Vico, passando per Gubbio, ad Arezzo. La lunghezza del percorso a scartamento ridotto era di 134 km (il tempo di percorrenza, salvo imprevisti, era di 5,30 ore con una velocità di 25 km/h. Una velocità che sembra molto bassa ma, secondo una ricerca di Legambiente del 2013, nei capoluoghi italiani la velocità media dei mezzi pubblici è sotto i 20 chilometri orari). La ferrovia, dopo la sua costruzione subiva sempre più la concorrenza delle auto, fino a quando venne dotata, nel 1934, di locomotive diesel.

Ma, come è successo in tante altre situazioni, la Seconda Guerra mondiale, rappresenta anche qui una terribile cesura. A seguito dei bombardamenti e delle devastazioni, dei ponti minati dall’esercito tedesco in ritirata, il servizio venne sospeso nel giugno 1944. La ferrovia, ferita a morte, non verrà mai più ricostruita. Una scelta miope, legata come sempre al privilegiare il trasporto su gomma, i cui danni complessivi riusciamo a valutare solo oggi.

Il tracciato e le costruzioni annesse, stazioni e caselli, è stato piano piano cancellato. È uscito persino dalla memoria. Chi scrive appartiene forse all’ultima generazione che si riferisce ancora ad una certa toponomastica parlando della “zona della Stazione”. Ma per i giovani eugubini questa espressione non avrebbe più alcun significato.

Fin qui la storia. Da qualche anno però un gruppo di cittadini, appassionati ciclisti, ha cominciato a lavorare ad un progetto di recupero del tracciato della vecchia ferrovia per trasformarla in una ciclovia. Recuperare la memoria storica di un’infrastruttura che il tempo stava cancellando; promuovere una nuova visione della mobilità ed in particolare della mobilità lenta, cercando di ridurre il predominio dell’automobile, sui brevi tratti, quale mezzo di trasporto; promuovere il territorio quale meta cicloturistica in un quadro di offerte turistiche in rapida evoluzione. Questi gli obiettivi del gruppo di cittadini sensibili e intelligenti.

Una magnifica iniziativa della società civile che ha avuto un esito positivo, grazie anche all’accoglienza trovata nell’ente regionale e nella fondazione locale, a dimostrazione di quanto sia capace e lungimirante una parte della popolazione. Questo progetto venuto dal basso ha permesso di realizzare oggi un magnifico percorso lungo per ora sette chilometri, in un paesaggio incontaminato lungo la valle del fiume Assino. Chi percorre quella strada a piedi o in bicicletta rimane incantato dal dolce disegno del percorso che attraversa ponti e passa sotto gallerie ancora affumicate dal nero delle locomotive a vapore.

La ex Ferrovia dell’Appennino è stata inclusa nel progetto Bicitalia Rete Ciclabile Nazionale – promosso dalla FIAB come Ciclovia Fano-Grosseto (BI 18). Il tracciato della ex ferrovia è stato aggiunto agli itinerari di Bicitalia. Infatti il nostro itinerario è andato a far parte della rete Bicitalia con il nome BI 18 “Le vie dei due mari”, da Grosseto a Fano, passando per Siena, Arezzo, San Sepolcro, Gubbio, Urbino. Quattrocento chilometri di strada da percorrere a piedi o in bicicletta. Un’importante itinerario ciclabile che caratterizzerà il nostro territorio. Questo itinerario entrerà a far parte della rete nazionale delle ciclovie (18.000 km), in particolare delle “Grandi Vie Eurovelo” che costituiscono collegamenti longitudinali e trasversali della nostra penisola.

C’è un’Italia che pensa e si muove in una direzione giusta, preservando la bellezza del territorio e il benessere delle persone. L’utile non è il vero, come sostiene un certo pensiero economicista che persegue un’idea di sviluppo cieco e autodistruttivo. Al contrario, è il bello ad essere vero e anche buono e anche utile.

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