IL SENSO E IL LIMITE

Il Limite /60

Il senso e il limite

di Raniero Regni

Chi segue questa rubrica sa che stiamo cercando di perlustrare i vari significati che può assumere oggi la nozione di limite. Essa appare fondamentale perché pensare il limite vuol dire fornire senso. L’aveva sostenuto I. Illich, il geniale pensatore che prima di altri ha saputo denunciare alcune delle conseguenze della controproduttività delle grandi istituzioni della nostra società come la scuola, la medicina, i trasporti. Oltre un certo limite la alfabetizzazione e la scolarizzazione diventano negative dando vita alla corsa alle credenziali educative e producendo effetti negativi persino sul sapere; oltre un certo limite la medicina invece di curare produce malattia; oltre un cero limite i trasporti da mezzi al servizio dell’autonomia diventano fini a se stanti che rendono più difficile la circolazione. Tutta una serie di impressionanti effetti perversi, ovvero conseguenze indesiderabili e negative di innovazioni tecnologiche e sociali apparentemente positive. E questo accade perché, sotto sotto, c’è sempre l’impotenza a controllare la potenza propria della cultura umana.

La condizione umana è fragile. Basta un nonnulla per farci fuori. La fatalità fa sì che un giovane ventenne pieno di speranze, tornando a casa una sera cada in un fossato perdendo la vita e gettando la famiglia nella disperazione. È la fatalità, si diceva e si dice ancora. Il male piomba sugli umani come un predatore, il male che proviene dalla natura, ma anche quello che proviene dagli esseri umani stessi, appare come qualcosa di inevitabile. L’impotenza degli esseri umani ha prodotto in passato il senso del destino. Così, dice Illich, l’essere umano ha sviluppato nei millenni ”la capacità di ribellarsi e quella di perseverare, di resistere ostinatamente e di rassegnarsi”. Ieri il fato era proprio dell’azione divina, oggi è proprio di quella umana, ieri il tragico nasceva dalla lotta dell’eroe contro il destino, oggi la figura del tragico appartiene al mondo della tecnologia, il destino tragico della tecnologia.

La natura e il prossimo sono solo due delle frontiere da cui l’essere umano ha sempre dovuto difendersi dal male. Illich individua una terza fonte del male da cui ci si è sempre dovuti proteggere. Una fonte paradossale, perché viene non dall’esterno ma dall’interno della condizione umana. “Per restare in condizioni vitali, l’uomo deve anche sopravvivere ai sogni, che fino ad ora erano stati modellati e tenuti a freno dal mito”. Il mito che racchiudeva la saggezza antica ricordava sempre i limiti dell’azione umana. Con l’industrializzazione anche la Hubrys, la tracotante superbia umana si è industrializzata e ha infranto le cornici che ponevano dei limiti alle fantasie irrazionali degli umani.

Fissare dei limiti all’azione umana dava loro un senso. Il limite produce senso, il senso del limite. Oggi, che la ragione e la scienza hanno sostituito il sacro, il mondo moderno, costruito sulle macerie dei sistemi simbolici tradizionali, ha perduto ogni senso del limite. Ha cercato di superare ogni soglia a proposito della salute e della morte, e non si può dare senso a ciò che si cerca di estirpare. Oltre un certo limite, la scienza e la tecnica diventano irrazionali, il riscaldamento globale e il cambiamento climatico sono lì a ricordarcelo.

Una macchina tecnologica folle, guidata solo dalla sete di potere e di possesso, si è messa in moto. E, come scrive il gande filosofo tedesco H. Jonas, che ha scritto forse il testo fondamentale per fondare un’etica all’altezza delle sfide tecnologiche di oggi, “è innegabile che diventiamo gradualmente prigionieri dei processi da noi stessi iniziati….senza finalità cosciente e quasi come un destino”. Siamo diventati noi il destino ma non riusciamo più a venire a capo del problema del senso perché abbiamo superato ogni limite.

Qualcuno ricorderà il folgorante incipit di un libro-culto di qualche decennio fa, L’insostenibile leggerezza dell’essere, del grande scrittore boemo Milan Kundera. L’enigmatico quesito che, sulla scorta dell’idea nietzschiana dell’eterno ritorno, si domanda se la vita avrebbe più senso se ogni suo attimo tornasse eternamente oppure se svanisse inghiottita dal tempo, una volta e per sempre. La nostra vita ha senso proprio perché finita, limitata, su di un sfondo di eternità, ed è per questa ragione che essa è preziosa e può essere piena di senso.

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