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DALL’INTELLIGENZA NATURALISTICA ALL’INTELLIGENZA ECOLOGICA

 

Il limite / 58

Dall’intelligenza naturalista all’intelligenza ecologica

 

È semplicemente sbagliato che i ragazzi e i giovani conoscano i nomi delle marche ed abbiano altre informazioni e non conoscano nemmeno il nome di una pianta

Tutti parlano di transizione ecologica e di un indispensabile cambiamento di paradigmi a tutti i livelli e degli stili di vita, ma questo non sarà possibile senza una fondamentale azione educativa. È necessaria una vasta forma di pedagogia sociale per aiutare la popolazione mondiale a cambiare modello di sviluppo. Non per paura della catastrofe ma perché necessario e possibile e persino migliorativo. L’educazione ambientale rappresenta e deve rappresentare un messaggio di speranza e addirittura di sviluppo di nuove possibilità e persino di forme di vita umana più felici. Per arrivare a questo è necessario gettare le basi di una educazione ecologica, di una nuova alfabetizzazione ambientale. Così come la intende F. Capra, secondo il quale è necessario “ricongiungersi alla trama della vita significa edificare e mantenere comunità sostenibili, in cui possiamo soddisfare i nostri bisogni e le nostre aspirazioni senza ridurre le opportunità per le generazioni future”.

Dobbiamo imparare a cooperare con la natura conoscendola, dobbiamo incorporare i costi ambientali e sociali nelle produzioni, attraverso forme di partnership diffusa e di cooperazione. E, se l’economia incoraggia la competizione, l’espansione, la dominazione, l’educazione ecologica dovrà incoraggiare la cooperazione, la conservazione e la partnership. Interdipendenza, riciclaggio, partnership, flessibilità, diversità, sono alcuni dei principi che andranno applicati e implementati in ogni settore umano perché capaci di ristabilire l’equilibrio ecologico. Ma questo sarà possibile facendo leva, intanto, su una delle otto intelligenze individuate da H. Gardner, l’intelligenza naturalistica. Essa incarna l’interesse innato per il brulicante mondo naturale e la connessa capacità di categorizzare e riconoscere i vari aspetti del mondo vivente alle prese con il proprio ecosistema.

L’intelligenza naturalistica andrebbe potenziata a livello educativo, anche scolastico, attraverso una conoscenza, uno studio e un’esplorazione anche della vita delle piante. Il mondo vegetale rappresenta più del 85% della biomassa vivente, mentre gli animali lo 0,3 %. Le piante, pur non avendo un cervello centralizzato come gli animali, hanno un’intelligenza distribuita e piuttosto che competere individualisticamente collaborano in maniera sistemica attraverso forme di mutuo appoggio. Scoprendo così quella che è l’intelligenza vegetale rappresentata, ad esempio, dagli alberi. È infatti inconcepibile che l’educazione delle nuove generazioni sia affidata al marketing e al consumo.

 È semplicemente sbagliato che i ragazzi e i giovani conoscano i nomi delle marche ed abbiano altre informazioni e non conoscano nemmeno il nome di una pianta. Un riavvicinamento alla natura, anche sotto forma di conoscenza e sviluppo dell’innato interesse per il mondo del vivente, andrebbe assolutamente potenziata sia nell’educazione formale scolastica che in quella informale-familiare, che ancora nella più vasta educazione non formale.

A partire dal potenziamento dell’intelligenza naturalistica si dovrebbe raggiungere il potenziamento di quella che D. Goleman ha chiamato “intelligenza ecologica”. Nel nostro passato evolutivo il nostro cervello è stato formato per rispondere alle sfide e ai pericoli ambientali che si presentavano sotto forma di pericoli palpabili e percepibili. L’amigdala, che è il punto centrale del nostro radar cerebrale per l’individuazione dei pericoli e che attiva il sistema di allarme del cervello, ci ha predisposto a reagire prontamente ad un predatore oppure ad un rettile o a reazioni di disgusto di fronte a forme di putrefazione che emettevano odori nauseabondi, così come da altri pericoli che vengono dal mondo fisico in cui ci siamo evoluti. Non abbiamo strumenti innati per difenderci dalla diffusione di impercettibili particelle nocive diffuse nell’aria che respiriamo o nel cibo che mangiamo o per reagire alle devastazioni di ampie porzioni di flora e fauna. Eppure abbiamo la neocorteccia, ovvero il cervello pensante che “si è evoluta come il nostro sistema neurale più versatile per la sopravvivenza; ciò che i circuiti insiti nel nostro cervello non sono in grado di aiutarci a comprendere può essere scoperto, compreso e opportunamente riordinato dalla neocorteccia”.

Questa nuova sensibilità va appresa ed educata. L’intelligenza deve aiutarci a rendere visibile l’invisibile minaccia dell’inquinamento attraverso l’apprendimento e la conoscenza. “Quella che potrebbe diventare una reazione emotiva acquisita deve partire da una comprensione intellettiva”, dice Goleman.  Dobbiamo diventare più intelligenti in relazione agli impatti ecologici del nostro stile di vita, aumentando la trasparenza degli oggetti acquistati, collegando le nostre decisioni quotidiane all’impatto che hanno sul pianeta, riducendo il gap oggi esistente tra le informazioni necessarie alla sostenibilità e le nostre scelte a tutti i livelli. E tutto questo fino ad arrivare ad una trasparenza radicale di fronte agli oggetti. E poi dobbiamo trasformare questa nuova forma di conoscenza in una intelligenza collettiva e sociale diffusa capace di coordinare gli sforzi di tutti e di ognuno. Educare i produttori e i consumatori allo scopo di far convergere la migliore redditività con la migliore sostenibilità. Intere comunità potrebbero così incamminarsi verso comportamenti virtuosi, non imposti dall’alto ma condivisi a tutti i livelli, macro e micro sociale. Capace di trasformare la miopia del guadagno a breve termine in una più lungimirante e sana relazione con l’ambiente a lungo termine. Questo ci ricorda anche l’etimologia dei termini “economia” e di “ecologia”, che indicano due modi di pensare oggi contrapposti ma che hanno invece una comune origine etimologica. “Eco” viene infatti da Oikos, casa, la nostra casa comune che è la natura.

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