HomeLa RivistaEducazione e AmbienteL’IMPROPONIBILE GREEN WHASHING E LA VERA UMBRIA VERDE

L’IMPROPONIBILE GREEN WHASHING E LA VERA UMBRIA VERDE

Il limite / 55

di Raniero Regni

 

Il rimedio a una menzogna è guardare in faccia la verità. (D. Goleman)

Perché, quando entriamo in un qualsiasi supermercato generalmente veniamo accolti dal reparto piante e fiori? Perché il verde comunica agli umani una sensazione immediata di benessere. Dove c’è verde, non solo c’è speranza, ma c’è vita, e il consumatore viene messo a suo agio per meglio predisporlo all’acquisto. I supermercati sfruttano la nostra innata “fitofilia”, amore per le piante e per il mondo vegetale per vendere ciò che poi alla fine dei conti contribuisce a distruggere proprio quel mondo vegetale.

Oramai tutti hanno capito che l’opinione pubblica è in allarme per quello che uno sfruttamento illimitato del pianeta sta facendo alle matrici ambientali (acqua, aria, suolo), per non parlare dei cibi e del paesaggio e di quello che accade ai suoi abitanti. Le imprese hanno capito che per continuare a vendere bisogna dire che il prodotto è ecologico, che è sostenibile, che è verde, che ecocompatibile e biodegradabile e così via. Fino al punto da rendere queste parole impronunciabili, perché spesso e volentieri rappresentano un’ulteriore forma di inquinamento, di mascheramento della verità. E’ la tecnica del green washing, del lavaggio verde. Il lavaggio verde è un gioco di prestigio del marketing che consiste nell’adottare slogan ambientalisti irrilevanti in modo tale da distrarre gli acquirenti dalla valutazione oggettiva delle diverse marche. Il green washing inquina i dati a disposizione dei consumatori e blocca l’efficienza del mercato attraverso informazioni fuorvianti per spingerci a comperare prodotti che non mantengono le loro promesse. Il green washing è il contrario della trasparenza ecologica rivendicata da D. Goleman nel suo lavoro sulla “intelligenza ecologica”.

Le imprese sanno oramai che esiste una giusta preoccupazione tra la popolazione in rapporto alla sostenibilità ambientale, all’inquinamento, al riciclaggio e cercano di rassicurare i clienti allo scopo di orientare le loro scelte. Ma lo fanno lavorando solo sulla facciata con una forma di marketing orientato. Gran parte di ciò che viene reclamizzato come verde rappresenta in realtà una fantasia o una semplice esagerazione. In molti casi rappresenta una forma di “negazionismo soft”, ovvero nessuno può più negare l’eccesso dell’impronta ecologica sull’ambiente o il riscaldamento climatico a causa delle emissioni di CO2, ma molti degli inquinatori sistematici se ne infischiano altamente continuando a fare quello che hanno sempre fatto, utilizzando solo il fatturato come indicatore.

Un caso emblematico, che riguarda da vicino chi scrive , è quello rappresentato dall’Umbria. Si sa che la mia regione è davvero considerata il cuore verde dell’Italia. Le sue colline e suoi cieli sono quelli delle pitture del Perugino, di Raffaello, di Piero della Francesca. L’Umbria ha un volto costituito dal suo bellissimo paesaggio. Ma mentre la pubblicità esalta questi aspetti, il nuovo piano rifiuti regionale, prodotto da una supercommissione che ha partito il topolino, prevede un aumento enorme del conferimento in discarica e la costruzione di un termovalorizzatore nel 2030. I politici, gli amministratori locali scelgono sempre il breve termine e queste sono due scelte che sono delle scorciatoie che non invertono il modello di vita, ma accrescono invece le emissioni in atmosfera, peggiorando il mix che oggi si usa per i termovalorizzatori. A furia di prendere delle scorciatoie si accelera la fine del mondo.

L’Umbria per dimensioni, collocazione e storia potrebbe davvero diventare un laboratorio delle migliori pratiche ecologiche, di vera economia verde. Potrebbe rappresentare un laboratorio dove sperimentare l’eccellenza per il riciclaggio e il riuso dei rifiuti, per l’energia prodotta dall’idrogeno verde, così come per creare tante comunità locali energeticamente autosufficienti che fanno ricorso alle vere fonti rinnovabili, che sono il sole e il vento. L’intero territorio umbro potrebbe sperimentare gli “ecodistretti”, ovvero comunità che decidono di mettere la salute e la qualità ambientale al primo posto, ecodistretti che poi potrebbero meglio accogliere un turismo che cerca proprio questi aspetti.

È evidente che nessun oggetto della produzione industriale può essere totalmente verde, ma comunque è necessario perseguire intelligentemente tutte le catene di interdipendenza per scegliere ciò che ha meno impatto ambientale. Soprattutto indirizzando le scelte al riciclo e al riuso e all’aggiustamento perché, ogni volta che gettiamo via qualcosa, non c’è letteralmente nessun “via”. I rifiuti, anche se li bruciamo, non scompaiono, rimangono comune qui sulla Terra. Di tutto abbiamo bisogno meno che di una retorica verde con il suo linguaggio ipocrita. E’ vero, anche in questo caso, che “l’ipocrisia è l’omaggio che il vizio fa alla virtù”. Ma questo genere di menzogne ha il fiato corto e noi abbiamo bisogno invece di scelte coraggiose e coerenti che facciano dell’ambiente un bene comune da proteggere e salvaguardare.

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