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PERCHE’ L’ECOLOGISMO NON E’ UNA FORZA POLITICA?

BUONA DOMENICA DI PASQUA E BUONA SETTIMANA AI LETTORI DI “CENTRALMENTE” LA RIVISTA DELLA DOMENICA

a nome di tutti gli autori

                                                                   Il Direttore Pierluigi Palmieri 

Il Limite / 54 

Perché l’ecologismo non è una forza politica?

                                                                                                                                                                           di Raniero Regni

 

….Esiste un prezzo da pagare, ma l’occasione è epocale. E il prezzo da pagare,

se non approfitteremo di questa crisi attuale, sarà ancora più alto….

La questione ambientale, oggi sopraffatta dall’attualità della guerra, rappresenta comunque “il” problema fondamentale che abbiamo di fronte. La nostra limitata capacità di attenzione ci fa pensare un problema alla volta e il rumore dei mass media detta l’agenda del nostro pensiero, per cui ora appare in secondo piano. Ma non dobbiamo aspettare la prossima catastrofe per portarla di nuovo al centro delle nostre preoccupazioni.

Persino lo scenario della guerra ha, sullo sfondo, il tema delle fonti energetiche, che rappresentano una delle chiavi di lettura di quello che sta accadendo in Ucraina. Tutto rimanda alla sostenibilità. Dobbiamo arrivare, nelle parti e nel tutto, almeno nell’Unione Europea, alla indipendenza energetica e questo è possibile solo con le fonti rinnovabili. Altrimenti saremo sempre dipendenti dagli “stati canaglia”. Saremo costretti altrimenti ad accettare l’inaccettabile e collaborare con i dittatori e i governi che opprimono le proprie popolazioni. La guerra non è l’occasione per tornare indietro, infischiandosene dell’ambiente, ma per andare avanti e compiere davvero la transizione ecologica. Le tecnologie sono oramai disponibili a tutti i livelli, così anche le possibilità produttive su ampia scala. Manca la volontà politica e manca un consenso informato su questo. Manca cioè che la questione ambientale abbia una sua precisa rappresentanza politica. Da una parte, lo sguardo ecologico non può non essere parte integrante di ogni programma di ogni forza politica,  spesso viene diluito e produce soluzioni-non-soluzioni che peggiorano la situazione della salute e dell’ambiente. C’è bisogno di rappresentanze politiche che facciano del programma ecologico la propria bandiera principale, al di là di ogni ipocrisia verbale che tutti usano.

Se guardiamo agli ultimi decenni dobbiamo constatare che gli ecologisti, che erano in passato una minoranza attiva, avevano ragione su tutte le questioni. Basandosi su dati scientifici, inoppugnabili oramai per chiunque, avevano previsto il cambiamento climatico, l’inquinamento degli ecosistemi e la distruzione della biodiversità, così come gli effetti sulla salute umana. Oramai le loro idee sono condivise dalla maggioranza della popolazione, almeno nei paesi più avanzati, almeno in Europa, ed hanno l’appoggio della gente. Perché però questo consenso culturale non diventa forza elettorale? Perché gli ecologisti  non sono stati capaci di diventare un partito politico?

La risposta, per il nostro paese, potrebbe essere diversa rispetto, ad esempio, a quella della Germania, dove invece sono un forte partito politico e sono al governo. In Italia la questione ambientale non è stata mai al centro dell’agenda né della destra né della sinistra, se non a parole. ma oramai anche da noi esiste una preoccupazione per le conseguenze dell’azione umana sulla natura. Così come esiste un collante che unisce le diverse schiere degli ambientalisti: l’idea che il “troppo”, l’assenza di limite, è insostenibile.  La consapevolezza ecologica è aumentata ma non il peso politico proporzionale. Secondo l’economista S. Bartolini, una delle cause è che il messaggio degli ecologisti è un messaggio negativo con effetti depressivi. La nostra è la società della crescita e senza un progetto alternativo il messaggio ecologista suona inaccettabile. L’opzione politica più gettonata è oggi quella che cerca di conciliare crescita economica e protezione dell’ambiente. Ma oggi questa scelta non è più praticabile. Allora l’alternativa appare quella di un ascetismo di massa, dell’autolimitazione e delle rinunce individuali. Così la risposta è paralizzante e i consensi politici non si raccolgono intorno agli ambientalisti. Per avere successo, un messaggio politico deve proporre sentimenti positivi e speranza. Esiste oggi un’alternativa al paradigma suicida dello sviluppo illimitato. E questa alternativa è positiva, non solo negativa. Esiste un prezzo da pagare, ma l’occasione è epocale. E il prezzo da pagare, se non approfitteremo di questa crisi attuale, sarà ancora più alto. Per cui, ha ragione ancora Bartolini, è necessario e possibile coniugare de-accelerazione e felicità. Eco-distretti e comunità energetiche, protezione dei beni comuni e dei beni relazionali, un ambiente più frugale ma più sano, rappresentano scenari desiderabili, non paurosi e pessimisti.  Anzi, tutto il contrario, gente più felice vive di solito in maniera più sostenibile. Per cui è possibile progettare un’ecologia della felicità.

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