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ABORTO: UN PAPA’ “IPOTETICO” SI CONFESSA

Attualità / 51

di Sandro Valletta 

Il mio bimbetto (così lo chiamavo) è volato in cielo. Stava per compiere i suoi primi tre mesi di vita nel grembo materno quando, per mano dì medici sconosciuti, per volontà di sua madre e su mandato di uomini politici, anch’essi sconosciuti, è stato deciso che non dovesse anche lui essere figlio dell’uomo. L’aspetto di questa triste vicenda, che più mi spaventa, è questo: senza la legge, mia moglie non sarebbe, sicuramente, ricorsa a questo atto sacrilego, come lei stessa, in seguito, l’ha definito. E io, padre mancato di questo bambino, nulla ho potuto per fermare né lei, né i medici, né, tantomeno, i politici, mandanti di questo omicidio. Avevo sempre sentito parlare del fenomeno aborto, ma non mi toccava più di tanto perché pensavo che nella mia famiglia non sarebbe mai successa una cosa del genere. E, purtroppo, è toccato anche a me. È stato tutto taciuto ai nostri genitori e ai nostri figli, ormai grandicelli. Anche a loro è stato negato un diritto: quello di diventare ancora nonni e ancora fratelli. Sento che non potrò più avere rapporti intimi con mia moglie. Non voglio giudicarla, anche se ha commesso questo peccato, perché un bravo confessore mi ha fatto capire che devo perdonarla. Non riesco, però, a fare altrettanto con i ”mandanti”, quegli anonimi e grigi uomini politici che, con una legge scriteriata, non mi hanno consentito di poter avere mio figlio. E non mi si venga a parlare delle solite banali “cretinerie” in merito al fatto che  un embrione non è un essere umano: io gli volevo già bene, l’ho pianto alla sua morte e lo piango tuttora, mentre sto raccontando l’episodio. Sono confuso ma mi è chiaro un  aspetto: è stato ucciso un essere umano, che era mio figlio. Una colpa grave, forse, ce l’ho anch’io, perché non ho fatto tutto il possibile per evitare quello che è successo. Il bambino non era stato desiderato e quando mia moglie mi ha dato la notizia della presunta gravidanza non ho fatto salti di gioia. Non ho mai pensato, però, all’aborto. Con mia moglie ho cercato di dialogare, per convincerla a non commettere questo atto, ma mi chiedo se la mattina in cui è andata in ospedale, per l’intervento ormai deciso, io abbia sbagliato a non impedirle di uscire di casa o, meglio a non cercare sino all’ultimo istante di farla ragionare. Ho paura di aver detto inconsciamente di sì anch’io al compimento di questo sacrilegio, sento di aver fatto poco, perché pensavo, erroneamente, che la mia donna avesse spinto fino all’estremo la sua decisione, per poi ritirarla all’ultimo momento, per coinvolgermi al massimo in questa paternità. Le ho promesso che avrei rinunciato anche al mio lavoro, che mi porta sovente fuori casa, e che avrei fatto tutto il possibile per accontentarla, sotto tutti i punti di vista. Ma tutto è stato vano!! Mi ha gridato di non volere il bambino. Sono disperato, non so che futuro attenderà la mia famiglia e sono convinto, perché ho timore di Dio, che dovremo scontare questa grave colpa. Mi auguro solo che  essa non ricada anche sui nostri figli, facendoli soffrire ingiustamente…

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