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FUORI DALL’AULA OVVERO “OUT OF THE BOX”: L’UTILITA’ DELL’INUTILE

Il limite / 44

FUORI DALL’AULA ovvero Out of the box:  l’utilità dell’inutile 

di Raniero Regni

…….Per capire il limite della tirannia dell’utile che ci costringe a non uscire dalle nostre scatole abitudinarie, mentali e didattiche, bisogna forse pensare e fare qualcosa di inutile, oltre il limite dell’utile………

Si discute oramai tutti i giorni di didattica a distanza, di chiusura e apertura di aule causa pandemia, in una litania che coinvolge tutta la società e la scuola in modo particolare. Verrà il momento di fare un bilancio vero e su dati sperimentali riguardo gli effetti che due anni di pandemia avranno provocato sugli studenti. È vero che ci saremmo aspettati una moltiplicazione degli spazi, proprio per rendere possibile il distanziamento, un dimezzamento degli alunni per classe, un aumento dei docenti e tanti altri interventi strutturali che non ci sono stati. Così come non ci sono stati neanche nella sanità. Ma non è di questo che vorrei parlare, ma del fatto che anche in presenza, la scuola appare come prigioniera di se stessa. Qualcuno ha detto che i sistemi educativi, tutte le scuole, di tutti i paesi, sono una delle tante macchine del ‘900 che si sono oramai rotte. Il problema è che non abbiamo ancora trovato il modo di sostituirle. 

La scuola ha come un imprinting che la lega al tempo in cui è sorta. È progettata su processi standardizzati, quelli dell’organizzazione a catena di montaggio delle fabbriche di più di cento anni fa, quelli della standardizzazione dei processi e dei prodotti, quelli del controllo centrale delle caserme e degli uffici dell’amministrazione. La scuola è una macchina fordista, specializzata nella produzione di personalità in serie e non c’è niente da fare. 

Aule, classi, orari, campanelle che suonano, discipline, libri di testo, gerarchia e burocrazia, esami. Al di là di ogni tentativo di bravi insegnanti e di bravi dirigenti, che pure ci sono e lottano ogni giorno, e lottano perché si scontrano con la struttura che è legata a quell’insuperabile marchio di fabbrica. 

Il simbolo è l’aula scolastica, un parallelepipedo, un cuboide le cui facce sono tutte dei rettangoli. Penso all’aula come la scatola scolastica. Ne siamo prigionieri, oggi più di ieri. Ieri, prima della pandemia, non si poteva uscire per via della sicurezza, oggi a questa si aggiunge la paura del contagio. Ogni tentativo di modificare la didattica, quello che si farà lì dentro sarà sempre scuola. Si tratta di un limite strutturale che, in questo caso, andrebbe superato o forzato. 

Bisogna uscire dalla dimensione dell’aula. Abbiamo bisogno di meno cattedre e più laboratori. Abbiamo bisogno di una didattica che faccia dell’uscita fuori della scatola la chiave educativa principale. Progettare dentro l’aula e poi uscire fuori, nella città come aula, al cospetto del paesaggio come educatore. Sfruttare tutte le occasioni di apprendimento che ben altre aule fuori dell’aula possono offrire. Invece ci siamo affidati alla Lim, sperando che la lavagna elettronica collegata ad Internet potesse portare il bosco nell’aula. Ma così non è. E poi ci siamo rifugiati nella DAD per via della paura dei contagi. La scatola è diventata lo schermo bidimensionale del computer, con i suoi campanellini che segnalano l’ingresso. L’aula era limitata, e c’era distanza anche quando si era in presenza. La didattica on line ha acuito la crisi della presenza. Lo schermo è diventato il non-luogo per eccellenza. La didattica logocentrica e trasmissiva è rimasta la stessa. Siamo sempre nella stessa scatola. “Se si leggono semplicemente gli appunti, o se si parla con una macchina che riproduce volti congelati, – ha scritto qualche tempo fa la filosofa francese Stiegler –non può succedere nulla”. La relazione è diventata semplice connessione, comunicazione senza relazione. Allora l’educazione e la scuola non possono essere più il luogo dell’incontro e della scoperta. 

Bisogna uscire dalla scatola e dai suoi limiti strutturali, perché fuori il mondo e la natura stanno cambiando. Per questo bisogna pensare a soluzioni “out of the box”. In inglese questa espressione, “thinking out of the box”, vuol dire pensare fuori della scatola e allude al pensiero creativo. Non si può trovare una soluzione ad un problema usando lo stesso modo di pensare che ha creato il problema. Pensare fuori della scatola significa usare l’immaginazione per non soccombere ai limiti del pensiero che ci impediscono di cambiare strada e di trovare soluzioni nuove. Vuol dire pensare in maniera radicalmente nuova, in maniera divergente, usando un pensiero controintuitivo. Una controteoria liberatoria che, di fronte all’imprevisto, pensa l’impensabile. 

Per capire il limite della tirannia dell’utile che ci costringe a non uscire dalle nostre scatole abitudinarie, mentali e didattiche, bisogna forse pensare e fare qualcosa di inutile, oltre il limite dell’utile. È l’utilità dell’inutile, come scrisse qualcuno, forse la via d’uscita. “Se non si comprende l’utilità dell’inutile, l’inutilità dell’utile, non si comprende l’arte”, ha scritto Ionesco. Non si tratta però di contrapporre l’arte alla scienza, la libertà alla tecnica, una disciplina ad un’altra. Bisogna andare oltre il limite dell’utile che tiene prigioniero il mondo. Come si espresse un maestro zen giapponese: “devi studiare solo cose inutili. Solo l’inutile è importante”. Al che l’allievo occidentale domanda: “perché?”. E il maestro risponde, “perché quando diventano utili è troppo tardi”.

Noi viviamo necessariamente nelle nostre scatole mentali, forse è persino giusto costruirsene una fino ad una certa età. Ma poi bisogna pensare al di là dell’abitudine. Questo esercizio sarà indispensabile soprattutto ai giovani. Tra vent’anni, quando Draghi e Mattarella, gli anziani al potere, non ci saranno più, dovranno affrontare una drammatica crisi climatica e ambientale. Lo sanno, lo sentono, sono impreparati e spaventati. In quel momento dovranno pensare velocemente e in maniera nuova, e forse sarà troppo tardi. Ma, allora, perché non farlo subito? 

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