HomeEditorialiOLOCAUSTO: UN TESORO INESTIMABILE NELLE CRUDE IMMAGINI TV DI ALBERTO ANGELA .

OLOCAUSTO: UN TESORO INESTIMABILE NELLE CRUDE IMMAGINI TV DI ALBERTO ANGELA .

OLOCAUSTO: UN TESORO  INESTIMABILE NELLE CRUDE IMMAGINI TV  DI ALBERTO ANGELA

di Pierluigi Palmieri

,,,,aiutate i vostri allievi a diventare esseri umani. I vostri sforzi non devono mai produrre dei mostri educati, degli psicopatici qualificati, degli Eichmann istruiti. La lettura, la scrittura, l’aritmetica non sono importanti se non servono a rendere i nostri figli più umani,,,,”.      (Anniek Cojean)….

Quando frequentavo le scuole medie ero molto interessato allo studio della Storia, materia in cui potevo vantare votazioni molto alte. Avevo una particolare propensione ad immedesimarmi nei personaggi e ad immaginare lo scenario in cui si svolgevano i fatti più rilevanti ripotatati nei libri di testo, che all’epoca non abbondavano di illustrazioni    Il nostro professore apprezzava molto gli alunni capaci di descrivere nei dettagli, ivi  comprese le “date”,  gli eventi più significativi,  e i relativi protagonisti. All’uopo la “memoria” assumeva un peso determinante nel giudizio e nella conseguente valutazione. La  “Memoria” in ben altra accezione del termine, la più alta, ha spadroneggiato nella settimana appena trascorsa,  sulle prime pagine di tutti i quotidiani e sugli schermi di tutte le TV. Il 27 gennaio si è celebrato il Suo giorno e possiamo dire che ce ne siamo ricordati proprio tutti. C’è un problema che abbia  caratteri marcatamente psicologici, che che è stato sollevato, non proprio casualmente, da una diretta interessata, Liliana Segre, che anche per il ruolo che svolge in Parlamento può essere considerata la voce più rappresentativa dei sopravvissuti all’Olocausto. La Senatrice a vita ha vissuto intensamente la Giornata della Memoria del 2022 raccontando la sua vicenda personale con riferimento a quelle di altri suoi coetanei che ad Aushwitz furono letteralmente strappati dalle braccia dei padri e delle madri, che poi non avrebbero più rivisto, ma qui voglio sottolineare che le tante sue  significative espressioni ce n’è una che nella sua sinteticità contiene una esortazione che suona un po’ anche come un rimprovero:  “E’ dal 28 di gennaio in poi che bisogna ricordare“. Questa è la frase contenuta in un intervista a Rai News, che in meno di due , dal mio punto di vista, ha restituito dignità al dibattito politico nel momento il cui i giochi e i giochetti, legati all’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, lo avevano ridotto al livello dei “quattro amici al bar che volevano spaccare il mondo”  cantati da Gino Paoli, che però Sergio Mattarella lo avrebbero eletto al primo scrutinio.  La Segre nel suo breve passaggio ha ribadito che la sua è una  testimonianza  di chi ha percorso, un passo dietro l’altro, la stessa strada che avrebbe portato a morire suo padre Alfredo e i genitori di lui, e si è salvata per caso . Data l’età, sua e quella di tutti gli altri sopravvissuti ( 25 dei 776 bambini che all’epoca avevano meno di 14 anni) ,è consapevole che arriverà il momento in cui altri dovrebbero in futuro parlare della Shoah.

Lasciando, per un momento da parte l’approfondimento dellastoria personale della Segre, ma prendendo spunto dalla sua dichiarazioni, mi sento di condividere alcune mie riflessioni con i nostri lettori.

La prima riguarda la decisione dell’Assemblea delle Nazioni Unite di commemorare le Vittime dell’ Olocausto, designando il 27 gennaio come Giorno della Memoria.  La liberazione dei Campi di concentramento nazisti era avvenuta nel 1945, il 27 gennaio per l’appunto, e la risoluzione uscì dal Palazzo di Vetro di Manhattan il primo novembre del 2005. Erano passati esattamente 60 anni.

Anche la seconda delle mie considerazioni riguarda un ritardo ed è quello con cui la maggior parte dei testimoni della Shoah sono scesi in campo per raccontare alle nuove generazioni l’immane tragedia che li vide protagonisti. La stessa Segre aspettò 45 anni per cominciare a incontrare gli studenti delle scuole di Milano (1990).

Se quest’ultimo ritardo trova giustificazione nell’iniziale riservatezza, nella discrezione dai protagonisti del dramma e soprattutto nelle immense difficoltà da loro incontrate nella elaborazione del lutto, quello delle Nazioni Unite ha indubbiamente inciso in maniera più marcata sul persistere di molti nell’indifferenza o nel far fingere di “non sapere”.

Per diverse generazioni, ad iniziare proprio dalla mia, gli studenti non hanno rintracciato l’argomento “Olocausto” nei loro libri di testo e se pensiamo che ai nostri giorni c’è ancora chi addirittura nega la Shoah, il rischio dell’ “oblio della memoria” è ancora alto. I ritardi a cui ho fatto riferimento hanno provocato anche questo genere  di conseguenze.

Ecco che dall’esortazione della Senatrice Segre da cui ho preso spunto per questo editoriale, nasce un interrogativo che pretende una risposta concreta: Come dal 28 gennaio “iniziare” a ricordare. La risposta che mi sento di proporre si riferisce proprio al quel “iniziare” che è un infinito/imperativo e sottende un “non smettere”. Il come a mio giudizio sta nell’ampliare l’orizzonte della didattica della storia e dell’educazione civica nella scuola italiana, dove pure da qualche anno si registrano, qua e là, iniziative che vanno nella giusta direzione, grazie alla particolare sensibilità di pochi insegnanti e dirigenti illuminati. Per un discorso educativo organico ed efficace è necessaria una strategia che rispetti i canoni della Pedagogia sociale e della Psicologia  che considerano  l’attenzione e la percezione come elemento  essenziale per l’acquisizione della “memoria a lungo termine”.

Per approfondire sulla Rivista della Domenica  questa  tematica  chiederò supporto a Raniero Regni e a Lorena Menditto, che navigano con destrezza sui mari  delle rispettive materie (a proposito i loro articoli in questo numero parlano chiaro e all’accademico ho “rubato” anche la citazione di Cojean che mi fa da incipit). Qui mi limito a sollecitare il Ministro della Pubblica Istruzione a mettere mano ad un progetto di programmi scolastici attenti alle tematiche che, come l’Olocausto, facciano percepire ai giovani in piena formazione la differenza tra il bene e il male, tra il giusto e l’ingiusto, tra il disumano e l’umano, tra razzismo e intelligenza.

Allora, forse con un po’ di presunzione ma molto convintamente, invito il prof Bianchi  a predisporre una circolare ministeriale che inviti le scuole di ogni ordine e grado a proporre ai propri studenti ogni settimana e per l’intero secondo quadrimestre la visione dei documentari e dei film che trattano di Olocausto. Vista l’ampia disponibilità  di materiali presenti sui siti della Rai e delle altre televisioni l’accesso  ai programmi, aggiungo che sarà a costo “zero”. Con un ulteriore pizzico di presunzione mi permetto di proporre all’inquilino del Palazzo della Minerva di iniziare con il dare la massima diffusione  alla puntata di Ulisse il piacere della scoperta in cui Alberto Angela, descrive con dovizia di particolari e testimonianze di grande spessore umano, (Segre, Nando Tagliacozzo, Sami Modiano) il viaggio senza ritorno degli oltre mille ebrei “rastrellati”  nell’ottobre del 1943 dalle SS e deportati su carri bestiame fino ai campi di Concentramento. La sua descrizione parte dalle conseguenze delle leggi raziali del 1938 e termina con la magistrale recitazione di Gigi Proietti della poesia di Joyce Lussu “ C’è un paio di scarpette Rosse” di Joyce Lussu (chi l’ha ascoltata si commuove solo a scrivere il titolo).  Va poi inserito il film Testimoni di Auschwitz reperibile su Rai Play, dove l’introduzione dello storico David Bidussa  da sola “vale il biglietto” (da Hitler al potere/1938 passando per le leggi di Norimberga, la Notte dei cristalli  e il progetto  Aktion T4 per la soppressione dei disabili fino alla disgustosa riunione  a Wannsee che fissa scientificamente i criteri per la “Soluzione finale”.  A rinforzare la mia scaletta arriva su Rai 3, proprio mentre scrivo “La Conferenza” il film prodotto proprio in Germania che va ad incrementare la forza delle gemme educative e formative di Angela e di Bidussa.

Un tesoro inestimabile essenziale per “iniziare” a ricordare dal 28 gennaio,,,.

C’è un paio di scarpette Rosse 

di Joyce Lussu

 C’è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede
ancora la marca di fabbrica
“Schulze Monaco”.

C’è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio
di scarpette infantili
a Buchenwald.

Più in là c’è un mucchio di riccioli biondi
di ciocche nere e castane
a Buchenwald.
Servivano a far coperte per i soldati.
Non si sprecava nulla
e i bimbi li spogliavano e li radevano
prima di spingerli nelle camere a gas.

C’è un paio di scarpette rosse
di scarpette rosse per la domenica
a Buchenwald.
Erano di un bimbo di tre anni,
forse di tre anni e mezzo.
Chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni,
ma il suo pianto
lo possiamo immaginare,
si sa come piangono i bambini.

Anche i suoi piedini
li possiamo immaginare.
Scarpa numero ventiquattro
per l’eternità
perché i piedini dei bambini morti
non crescono.

C’è un paio di scarpette rosse
a Buchenwald,
quasi nuove,
perché i piedini dei bambini morti
non consumano le suole…

 

 

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