LA TRAGEDIA E IL LIMITE

IL LIMITE/41

La tragedia e il limite

di Raniero Regni

Tra i sinonimi del limite che cerchiamo di inseguire e di scovare in questa rubrica, mettendoli a confronto con l’attualità, c’è senz’altro la tragedia e il tragico. Il limite è sotto il segno del tragico, esiste un tragico limite per le vite e le azioni degli esseri umani. Il tragico sorge nel momento in cui qualcuno prova a superare il limite. 

La tragedia è il genere letterario più tipico dell’Occidente. Poesia e romanzo li possiamo trovare anche in altre letterature, come quella cinese o indiana, ma la tragedia è solo occidentale. Possiamo trovare in altre culture dei drammi ma non la tragedia. La tragedia non è il dramma. La differenza è chiara ed è stata approfondita da Hegel ma soprattutto da Nietzsche. Nel dramma l’eroe, pur incarnando il bene, finisce male e soccombe. Ma il bene e il male sono chiaramente rappresentati nella loro opposizione sostanziale. Nella tragedia classica, nella tragedia greca, il bene e il male non stanno tutti dalla stessa parte, il protagonista e l’antagonista hanno entrambi ragione ed entrambi torto. Ci vuole un ordine e una rivolta, ci vuole il sacro e l’umano che si oppongono per avere la dimensione tragica.

Dopo la grande stagione dei tragici greci, Eschilo, Sofocle e Euripide, la tragedia scompare per ricomparire quasi venti secoli dopo, nell’età moderna, nel XVII secolo con Shakespeare, Calderon, Racine. Anche se, secondo qualcuno, questa seconda stagione della tragedia non è propriamente tragica perché l’Occidente viveva oramai in un orizzonte cristiano e nella cultura cristiana non può esserci il tragico: dove tutto è grazia non può darsi tragedia. Se c’è speranza nel futuro allora la tragedia non può esserci, può esserci solo dramma, grandi drammi, ma non tragedia. Se c’è una tragedia cristiana l’unica vera tragedia è la passione e morte di Cristo.  

Secondo Camus, che espresse queste idee in una famosa conferenza tenuta ad Atene nel 1955, il tragico nasce in un momento di crisi della civiltà, quando una società “si distacca da una forma antica di civiltà e si trova di fronte a essa in una condizione di rottura senza tuttavia aver trovato una nuova forma che la soddisfi”. Così c’è tragedia se c’è mistero e ragione, perché “se tutto è mistero, non vi è tragedia. Se tutto è ragione neppure”. Ma, sempre secondo Camus, “il tema costante della tragedia è quindi il limite che non deve essere oltrepassato”. L’archetipo è rappresentato dal Prometeo incannato di Eschilo. Prometeo è il titano che ha sottratto il segreto del fuoco agli dei e l’ha consegnato agli umani, assieme alla speranza. Per questo viene punito da Zeus che lo incatena ad una roccia e manda ogni giorno un’aquila a divorare il fegato, che poi si riforma durante e la notte, in un supplizio eterno. Oggi, dopo la rivoluzione industriale, Prometeo è stato scatenato, la tecnica non trova più limiti.

La tragedia è la più alta espressione della cultura greca antica. Essa nasce dal fatto che la mia vita va alla ricerca di senso. Per vivere ho bisogno di senso ma, al cospetto della morte, questo senso implode. Da qui nasce il tragico. Per i greci la natura è indifferente ed esiste la necessità, l’Ananke, il fato, il destino, quello che né un dio né un umano possono modificare. Dal contrasto tra l’eroe e il fato nasce il tragico antico. La tecnica non è così forte come la necessità, osserva U. Galimberti commentando la tragedia di Eschilo, le leggi che governano la natura sono più forti della tecnica. La natura pone un limite inviolabile all’azione umana. 

L’antropocentrismo moderno, nutrito di progresso e successi tecnico-economici, ha smarrito completamente il senso della misura e il del tragico. Per questo la vera tragedia sembra essere finita, come sostiene anche il grande critico G. Steiner. Eppure all’orizzonte, un orizzonte prossimo, si profila forse un’altra situazione altamente tragica. L’umanità sembra toccare oramai i limiti del suo sviluppo, rischia nella sua Hubrys, nella sua tracotanza, mettendosi al centro del mondo, di ignorare i limiti imposti da Dio e dalla Natura. Ma oggi questi limiti si ergono impressionanti sotto forma di crisi climatica, di pandemia, di sovrappopolazione, se non addirittura nella forma più tragica di una nuova possibile estinzione di massa della vita sull’intero pianeta. 

Credo che oggi siamo di fronte ad un inedito orizzonte tragico determinato dallo scontro tra la storia umana, intesa come economia e tecnica, e la natura, intesa come biosfera. La minaccia della catastrofe ecologica è tragica e lo stesso genere tragico potrebbe oggi ritrovare una nuova linfa ed essere utile alla nostra sopravvivenza. La tragedia antica potrebbe ricordarci che la Necessità, che né dei né uomini possono modificare, è più forte di ogni tecnica. “La mia tecnica è di gran lunga meno potente di Ananke”, risponde Prometeo al coro che lo interroga. Esiste un limite all’azione umana e lo scontro epocale con il destino collettivo di noi umani potrebbe diventare il tema di una nuova opera tragica, tragicamente istruttiva e ammonitrice. 

Per ora è il cinema che se ne occupa. Il genere catastrofista è un vero e proprio genere filmico. L’ultimo prodotto di questo filone è Don’t look up, un film tragicomico, affollato di star di Hollywood, sulla minaccia di estinzione della vita sul pianeta a causa dell’impatto di una cometa. Un film che mostra in maniera ironica quale potrebbe essere lo scenario fatto d’incomprensione e spettacolo, di stupidità social e falsa potenza dell’algoritmo. Un film divertente e che fa pensare. Con un solo grande limite. Lì la minaccia viene dalle imprevedibili traiettorie cosmiche dei corpi celesti che viaggiano nello spazio, è una minaccia esterna, mentre quella a cui abbiamo accennato noi è una forma di auto-minaccia: siamo noi la causa del nostro male. Noi siamo davvero e di nuovo di fronte ad uno scenario classicamente tragico. Davvero molto più tragico e infinitamente meno comico.     

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