HomeLa RivistaAttualità e Amarcord FABRIZIO DE ANDRE’: UN VUOTO NON ANCORA COLMATO

 FABRIZIO DE ANDRE’: UN VUOTO NON ANCORA COLMATO

 Attualità/37

di Sandro Valletta

L’assenza di Fabrizio De Andrè, nell’imminenza del ventitreesimo anniversario della morte (11 gennaio 1999), è sempre più struggente. E’ la mancanza di chi aveva dedicato la propria voce, la propria musica, ai “servi disobbedienti alle leggi del branco”. Il mondo poetico di “Faber” (così lo chiamavano gli Amici) è popolato di emarginati, di rifiuti della società di cui seppe cogliere e interpretare gli aspetti più profondi, intimi, delicati e scabrosi di chi è fuori dal coro, di chi è capace di empatia con “chi viaggia in direzione ostinata e contraria”. Ha dato voce a chi non ne aveva, dignità a chi non veniva riconosciuto degno di alcun  diritto di cittadinanza. Se la maggioranza, “coltivando tranquilla l’orribile varietà delle proprie superbie”, non riconosce chi è diverso da sé. “Faber” guarda con dolcezza all’umano desolato gregge, col suo marchio speciale di disperazione fatto di “puttane”, rom, transessuali (Princesa di “Anime Salve”). 

La Sua morte prematura ci ha privato di un “Maestro” che aveva ancora tante storie da raccontare. Le Sue Canzoni ci hanno fatto sognare, innamorare, ma anche riflettere, prendere conoscenza di un mondo dove il potere emargina, umilia, ma non vuol essere giudicato. Ma si sa, i potenti hanno il cuore a forma di salvadanaio e finché il profitto resterà l’unico dio cui prostrarsi, milioni di persone continueranno a mancare di tutto, a morire e ad attendere la morte come ultimo rifugio da un mondo che è incapace di amore, di solidarietà, di una rivoluzione dei cuori, dei sentimenti e dell’etica, che costringa i potenti e  i Governi a porre a fondamento della loro azione la salvaguardia della Dignità Umana, che sola può emancipare l’uomo dallo stato di minorità. Utopia? Può darsi, ma se non si ha la forza di sognare vuol dire che tutto è diventato arido e l’umanità è precipitata in un nichilismo che la porterà alla morte. In De Andrè c’è questa tensione a combattere l’ingiustizia sociale e il convincimento che il mondo possa, e debba, essere  cambiato.

Le sue canzoni sono la testimonianza di chi, diciottenne, intraprese un viaggio durato una vita e nel quale ha narrato l’avventura umana di assassini, re, prostitute, bambine dai cui occhi è svanito ogni incanto (La legenda di Natale); ha cantato le miserie umane di una società perbenista e borghese che, nascondendosi dietro la rispettabilità dell’ordine e della legge, ha respinto la diversità, ma ne ha sempre cercato le “prestazioni” (Via del Campo, La Città Vecchia). 

Contro questo falso moralismo il cantautore genovese ha lanciato i suoi strali, con rabbia e indignazione. Ed è proprio ciò che De Andrè è riuscito ad imprimere nell’Io più Profondo dei cuori e nelle menti di tutti quelli che vedono nell’Altro non il “diverso”, ma l’Uomo, il Fratello, di cui non ci si può, né ci si deve vergognare…

GRAZIE GRANDE “FABER” PER QUESTA LEZIONE INDIMENTICABILE!!!

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