HomeLa RivistaCultura&ArteLA MISURA DELLE COSE – MARCELLO BIANCHI A CURA DI MATILDE PULEO

LA MISURA DELLE COSE – MARCELLO BIANCHI A CURA DI MATILDE PULEO

Una serata di fine ottobre ad Arezzo. Una passeggiata in centro alla ricerca di un ristorante per una cena, trovata dopo un giro lunghissimo, fra ristoranti indicibilmente affollati ed infine, un dopocena rilassato, in compagnia di un’inizio di nottata dai riflessi blu.

In lontananza, la percezione di un folto campanello di persone che staziona al di fuori di uno spazio illuminato che, dai riflessi delle sue vetrine, sembrerebbe uno spazio espositivo, mi attira.

Nella speranza di non incontrare la stessa scortese e supponente tracotanza vissuta al mattino, con un altro gallerista del centro, mi avvio verso lo spazio espositivo che scopro gestito gestito da Danielle Villicana & Maurizio D’Annibale, in  Via Cavour 85 ad Arezzo.

L’opera che mi colpisce immediatamente si trova a destra dell’entrata ed  è anche quella che potrete ammirare nell’immagine di testa dell’articolo. La curatrice della mostra, Matilde Puleo, mi accoglie e cortesemente, nell’illustrami i contenuti della mostra, mi omaggia di un bel catalogo della manifestazione. 

Il quadro che ha attirato la mia attenzione sembra essere una sorta di chiave di lettura che ci guida alla scoperta della produzione dell’artista. Un racconto formale dove, nella narrazione di uno spazio quasi metafisico compare, assieme ad altri che gli fanno da contrappeso ottico, un contenitore “ciotola”, elemento principe presente in tutta la sua produzione artistica. Il campo visivo è diviso in due parti di cui, quella alta, diventa sapientemente lo spazio in cui la scena, volutamente statica si sviluppa. La parte bassa, la più ampia, raccoglie gli oggetti della rappresentazione, dipinti con una nervosa ma attenta gestualità che ritroviamo anche in questa sorta di texture- scrittura che definisce il piano conferendogli profondità. Il tutto dentro un contesto pittorico che potremmo definire tonale. Non ci sono squilli, la apparente pacatezza dell’insieme è in realtà un ambiente carico di forti tensioni legate assieme dal segno nervoso del carboncino.

Molte di queste strategie che denotano una grande padronanza pittorica e dello spazio, quasi alla ricerca di una nuova rappresentazione metafisica, le ritroviamo in tutto il suo percorso pittorico anche quando questo si serve delle tecnologie digitali per la sua espressione.

L’artista che è anche un grafico sopraffino dialoga con la sua “ciotola” facendola rivivere in proposte progettuali, sicuramente destinate ad una eventuale produzione, anche industriale. Pittore curioso di tutte le possibilità espressive della forma si misura anche con la realizzazione di manufatti orafi.

Matilde Puleo, curatrice della mostra, chiarisce quanto sopra accennato nel suo testo di presentazione ” L’indicibile spazio dove dipingere” “…è dunque la testimonianza del suo modo di intendere la serialità  e della coerenza e concentrazione con la quale rappresentare sempre lo stesso soggetto…” “…Sapeva perfettamente che l’immagine bidimensionale è in grado di incantare il fruitore in un’esperienza multisensoriale che ammalia l’ambiente circostante e l’osservatore stesso…” ” …il tipo di esperienza immersa sperimentata non ci dice che quella ciotola è la figura oggetto della nostra attenzione, ma che è piuttosto lo sfondo all’interno del quale

 l’attenzione sceglie il proprio oggetto. Le scodelle……… diventano elementi di una gestalt nella quale sfondo/figura sono continuamente messi in discussione. Sono stimoli per la mente e perfino oggetti di meditazione alla maniera di Giorgio Morandi.”

L’artista è precocemente mancato qualche tempo fa.

Nessun Commento

Inserisci un commento