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QUANDO LA SCUOLA DEL PASSATO ERA LA SCUOLA DEL FUTURO…

Scuola /31

Quando la Scuola del passato era Scuola del futuro

di Nicola Di Ianni

Buonasera professore, la chiamo in merito a…” E’ la voce di una mamma di una delle mie studentesse che, qualche giorno addietro, telefonandomi, chiedeva informazioni riguardo alle votazioni per il rinnovo dei rappresentanti della componente “genitori”. La donna si chiama Sabrina e con una lieve nota di imbarazzo, aggiunge:

Professore, voglia scusarmi, le volevo dire che noi già ci conosciamo, o meglio, io ricordo lei quando, da ragazzo, veniva con suo padre, nostro Direttore Didattico, per prendere parte ai Giochi della Gioventù che impegnavano tutto il Circolo Didattico e ai quali partecipavano le scolaresche di Introdacqua, Bugnara, Anversa degli Abruzzi, Casale di Cocullo, Cocullo e, a salire, quelle di Villalago e Scanno. Erano gli inizi degli anni ottanta e noi frequentavamo la classe quinta elementare… Siamo coetanei, io e lei…!”.

In un attimo la mia mente corre indietro nel tempo. La foto di quegli anni è limpida, così come il ricordo di Sabrina e delle sue amiche di classe delle quali mi ragguaglia nomi, cognomi e caratteristiche fisiche. Tutto è chiaro, ma quel che più è rimasto in me scolpito, inamovibile, intatto, è, senza alcun dubbio, in film inciso nella memoria di quei Giochi della Gioventù e di tutto ciò che li ha contornati negli anni di quella trascorsa scuola elementare.

Stupisce assai di più che, nello scambiarci il ricordo, riesco a notare come anche in lei, Sabrina, nulla si sia dissolto di quei momenti. Tutt’altro!

Era di maggio, uno di quei maggi tratteggiati nei versi del Pascoli come “…quando tutto è in fiore” e a colmare ancor più lo splendore di quell’atmosfera primaverile era una tutto un Circolo Didattico, tante scuole che, all’epoca, scoppiavano di voglia di vita. Sì, perché la scuola era e deve essere vita essa stessa, sempre, e non solo “servire alla vita”, come molti oggi l’intendono. Almeno questa era la realtà del Circolo Didattico di Introdacqua.

Maggio era sinonimo di viaggi di istruzione, di gite scolastiche (e non credo sia blasfemia definirle così anziché viaggi di istruzione…) nella prima metà del mese e, nei dieci giorni successivi, tutto era pronto e riservato per i Giochi della Gioventù, festa dello sport di ogni genere.

Le scuole dei paesi della Vale del Sagittario, che costituivano il Circolo citato, si animavano e attivavano perché quelle giornate fossero, sì, una festa dello sport, ma anche un insieme di tanto altro ancora. Ripenso ai genitori che, in quei tempi, riuscivano a mettere da parte i loro impegni per essere presenti, per accompagnare e tifare a favore dei piccoli figli-atleti e per tutta la durata dei Giochi.

Tutti insieme e con tanto di gonfaloni dei comuni rappresentati, davano colore, calore e forza nel sostenere tutti e nell’applaudire i vincitori anche se tra essi, a trionfare, non ci fosse stato il proprio figliolo o la propria figliola, il compaesano o un altro. E’ anche vero che alla vittoria di un “non paesano”, poteva starci qualche giustificabile mugugno…, alla fine, però, diventava manifesta e contagiante la sportività: si gioiva, tutti, per quella colorata festa di giovinezza fiorente.

In quei momenti il vissuto di ogni scolaro aveva il sapore dell’appartenenza al proprio territorio e, al tempo stesso, si apriva alla scoperta dell’altro come coetaneo, momentaneamente “concorrente” e, subito dopo, compagno e amico in nuovi percorsi mirati all’aggregazione.

In tutto questo la passione e la voglia di esserci partecipativamente dei genitori contribuivano a testimoniare e confermare il senso e il ruolo della “collaborazione tra scuola e famiglie”.

C’era quindi una sana gara tra i paesi che, seguendo una prestabilita turnazione, ospitavano i piccoli campioni, con familiari a seguito, per svolgere le diverse discipline “olimpiche”. Mai sarebbero venute meno le cosiddette figure di rappresentanza istituzionale: dai Sindaci, pronti per l’occasione, a prodigarsi in orazioni benauguranti, alle Forze dell’ordine locali che presidiavano ogni dove attentamente, ai responsabili sanitari (medico e Croce Rossa) chiamati per scongiurati casi di infortunio.

Non mancava neppure il Parroco che, pur mantenendo l’abito talare, si confondeva tra le gente e, in modo meno clericale, si lasciava andare nel tifo e nell’incoraggiamento dei ragazzi.

Tutti insieme si diveniva agenti corresponsabili della formazione degli studenti, nonché esempio di autentica collaborazione e cooperazione sinergica in un momento importante della vita scolastica che si sarebbe potuto chiamare, senza esagerazione, “educazione civica”.

E le genti dei paesi? Anch’esse facevano la loro parte. I commercianti allestivano banchetti post-gara per distribuire viveri agli sportivi (e non solo…), mentre alcuni artigiani intagliavano medaglie e ciondoli caratteristici per consacrare e premiare i vincitori a conclusione dell’ultima giornata, nella cerimonia di premiazione che si svolgeva, come da rito, in quel del lago di Scanno. Una totale immersione di tutti nella natura, educativa anche questa come occasione per essere “iniziati” e “rinsaldati” al rispetto ambientale.

La fine di quei “Giochi della Gioventù” segnava l’inizio di tanti altri accadimenti: amicizie e collaborazioni tra i genitori conosciutisi per l’occasione; il legame tra Scuola e Istituzioni che avrebbe favorito continui incontri condivisi, dove le richieste dell’una avrebbero ottenuto il sostegno dell’altra a beneficio dei discenti e della formazione in generale.

Quei “Giochi della Gioventù”, però, più di ogni altra cosa, avrebbero generato e concretamente sviluppato il protagonismo dei ragazzi, per i quali tutto era stato mosso. Nessuno sarebbe stato lasciato in disparte perché, se è vero che lo sport è per tutti e magari non tutti sono campioni nello sport, nei nostri di “Giochi”, con ruoli diversi (dallo speaker, al capitano rappresentante, all’arbitro delle gare…), tutti dovevano essere impegnati e importanti, nessuno escluso. Concreta ricchezza e risorsa della “diversità”.

Una scuola d’altri tempi? No! Una scuola VERA, tenuta in piedi dal forte senso pedagogico e di appartenenza e dalle capacità di quel Direttore Didattico. Un tutt’uno con l’insieme di docenti, bidelli e applicati vari, che con un’abile e continua promozione di sana collaborazione genitoriale e istituzionale, garantivano la pienezza formativa dei discenti, perché ad essa mirava e dai loro bisogni muoveva ogni passo. Di lì sarebbero nati progetti per un ulteriore arricchimento.

“…Professore, per non dire, poi, in quei momenti quante infatuazioni nascevano…”, aggiunge Sabrina che, con una lieve malinconica risata, si congeda.

Ricordo tutto, tutto perfettamente, a distanza di circa 35 anni. In me non è malinconia, c’è meraviglia, tanta meraviglia per un vissuto che stimola ogni mia idea e voglia di riaccendere quelle emozioni per i nostri ragazzi, oggi arricchiti di tecnologia, di “migliorie” eccellenti, e poi lasciati un tantino in seconda fila da una Scuola che corre ai ripari con mille corsi formativi inutili, tante proposte strutturali (banchi a rotelle, aule 3.0, LIM…), ma poche capacità concrete in senso pedagogico, e con la grande colpa di non partire dallo scolaro per quello che è, ma dallo scolaro per quello che si pensa debba essere…!

Così, se la scuola del passato era già scuola del futuro, perché, mi chiedo, questa scuola del futuro, ha tanta vergogna ed imbarazzo nell’attingere da qualche idea della scuola del passato?

Vi assicuro, non sarebbe reato!!!

 
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