HomeLa RivistaCultura&ArteVITTORIO CASALE, GIA’ MEMBRO DELLA DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA D’ABRUZZO “LA PRODUZIONE ARTISTICA PER CANONIZZAZIONI”

VITTORIO CASALE, GIA’ MEMBRO DELLA DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA D’ABRUZZO “LA PRODUZIONE ARTISTICA PER CANONIZZAZIONI”

Vittorio Casale e la deputazione di storia patria d’Abruzzo.

Il Bullettino, una serie di volumi che racchiudono centinaia di monografie vede il contributo di Vittorio Casale alle ricerche sulla storia dell’arte per tutto ciò che riguarda l’Abruzzo in particolare, ma anche su altre regioni d’Italia centrale .

 Vittorio Casale (Castelvecchio Subequo, L’Aquila, 17 novembre 1938), laureato in lettere, titolare della cattedra di Storia della critica d’arte, presso l’Università Roma Tre. E’ stato direttore del Dipartimento di Studi Storico artistici, archeologici e sulla conservazione. Attualmente è ordinario di Storia dell’arte moderna.

I suoi studi sono incentrati sull’arte dei secoli XVII e XVIII, in particolare sulla storia a Roma e nell’Italia centrale. Ha partecipato alla ricognizione della pittura del Sei-Settecento in Umbria, sfociata nella mostra ‘Pittura del Seicento e Ricerche in Umbria’ ( Spoleto 1989). Ha recensito due busti inediti di Gian Lorenzo Bernini da lui ritrovati nel duomo di Foligno. Ha curato l’edizione critica del Trattato sulla Pittura e Scultura redatto dal padre gesuita Giovan Domenico Ottonelli e da Pietro da Cortona (Firenze 1652), nel chiarire definitivamente la vicenda ed i limiti della collaborazione.

Per quanto riguarda l’arte dell’Italia Centrale ed in particolare dell’Abruzzo, ha pubblicato la recensione delle maioliche cinquecentesche della chiesa di Collarmele, ricollocandole nel loro contesto storico e proponendone una attribuzione. Ha analizzato le opere d’arte di Pescocostanzo, in particolare l’altare di Cosimo Fanzago, mostrando l’apporto degli artisti e artigiani pescolani nella regione. Ha anche richiamato l’attenzione sull’importanza dello studio degli stemmi , importanti documenti storici, promuovendo una ricerca sul tema, relativamente alla valle Subequana. Attualmente ha in corso una ricerca sugli altari di legno, pietra e stucco della chiesa di San Francesco in Castelvecchio Subequo (Secc. XVII-XVIII) opera di artigiani locali e lombardi.

 L’ambito della sua ricerca ultima lo ha visto individuare un nuovo filone, che riguarda in particolare l’iconografia religiosa usata per le  canonizzazioni dei santi e che è andato in stampa con il titolo ‘La produzione artistica per canonizzazioni: il Seicento’.

Un filone della storia dell’arte ancora non indagato che ci offre uno spaccato, attraverso la produzione artistica pensata specificamente per quegli eventi, anche della situazione politico-sociale della Chiesa di quel secolo direttamente impegnata nelle funzioni di governo, pari a quelle di qualsiasi altro stato di allora, e reduce da una guerra contro il dilagare del protestantesimo. La produzione artistica per canonizzazioni si occupa, nello specifico, dell’esame e dei contesti che producono l’opera d’arte funzionale alle canonizzazioni, ma cos’erano nella sostanza queste ultime? Come avvenivano, da parte della chiesa di Roma, la costruzione della santità e delle immagini collegate a questo argomento, totalmente insite nelle cerimonie di beatificazione e di canonizzazione nella riflessione sui codici iconografici e sugli schemi compositivi che si rifanno all’orchestrazione simbolica del rito.

Da un punto di vista storico, alla fine del Cinquecento, nell’ambiente della centralizzazione del potere pontificio, della riforma del governo e nel contesto post-tridentino, la santità può sembrare uno strumento della Chiesa militante contro il protestantesimo. Si assiste ad un esplosione del numero delle canonizzazioni e delle immagini. Il rituale, stabilito con la creazione della congregazione dei riti, eretta nel 1588, dove iI luoghi, i tempi, gli attori e gli oggetti sacrali e sacralizzanti sono costosissimo oggetto della performance. Le immagini, ornamentali, liturgiche, devozionali e memoriali, realiste e simboliche, sono insieme degli strumenti utili al rito ed anche delle rappresentazioni utilizzate per la comunicazione dell’evento religioso e politico, funzionali a diffondere una definizione della santità dentro una strategia di politica militante. 

La cerimonia di canonizzazione è l’ultima tappa, l’atto finale, nella costruzione della santità e della fabbrica dei santi: il riconoscimento pubblico fatto dal papa nella maestà della sua infallibilità; è l’atto creatore della santità proclamata con le parole rituali, e suo svolgimento globale è un rito di passaggio nel quale si attualizza la rappresentazione di un contatto con il soprannaturale; è anche un evento condiviso con i presenti che testimoniano il loro consenso.

Fa pensare l’esplosione di canonizzazioni di quell’epoca:32 canonizzati nel Seicento dei quali, la metà, sono iberici; tutto nel contesto di una presenza politicamente forte e dominante degli Spagnoli in Italia.  La decisione e la cerimonia sono degli atti sicuramente religiosi, ma anche profondamente politici. La sovrabbondanza dei santi e delle loro immagini di diversi tipi è testimoniata sopratutto dalla presenza delle donne: immagini di “ritratto” e scene della vita, estasi e visioni mistiche, miracoli, e cerimonie a San Pietro e in città. 

La sovrabbondanza delle immagini corrisponde a quella dei santi. Per esempio, per la cerimonia del 1671, Lazzaro Baldi, con la sua bottega, dipinge 115 quadri e 50 copie; 40 artisti sono coinvolti; 2500 stampe vengono pubblicate. 

Perché quest’esplosione delle immagini? 

A che cosa servono? 

La costruzione della santità vede l’istruzione della causa e del processo; la cerimonia (apparato e doni seguono una normativa precisa); la diffusione della notizia della creazione di un nuovo santo, della sua immagine e del suo culto. Stendardi, quadri, stampe, disegni, medaglie ufficiali dei papi, santini popolari …ne sono la promozione. 

I diversi tipi di immagini hanno una funzione, e le loro quantità e qualità si spiegano anche nel contesto della necessità della magnificenza: il postulatore deve agire con prodigalità e ostentazione.

Ma, quali sono gli attori? Tutto viene dalla decisione del Papa, che è il committente. Gli attori sono numerosi: organizzatori, postulatori della causa, avvocati, artisti… le autorità religiose e civili, gli ambasciatori stranieri, gli invitati, il popolo romano.

L’attore più importante è il santo, presente in modo simbolico: l’immagine rivelata sullo stendardo durante la beatificazione, a sorpresa attraverso  tecniche teatrali, sarà l’icona ufficiale ripresa per la cerimonia di canonizzazione. Lo stendardo è lo strumento visivo, il simulacro che rende, il santo, assente-presente. Le immagini del santo nella rappresentazione della festa in suo onore, (quadri con ritratti e scene della vita) funzionano come dei sostituti del santo e, l’oggetto sostitutivo, ha senso nella sua dimensione/situazione rituale. L’immagine è il sostituto attivo durante tutte le cerimonie. Lo spazio cerimoniale prescelto è qualificato come teatro e trova origini in una tradizione più antica: Dante nella Divina Commedia, presenta la Gerusalemme terrestre come un teatro e, all’epoca, Roma era definita, nella sua identità barocca, come “teatro del mondo”. 

Questa brevissima e sicuramente incompleta recensione vuole essere la spinta curiosa alla lettura  dell’affascinante saggio del prof. Vittorio Casale: ‘La produzione artistica per canonizzazioni: il Seicento’, per avere l’opportunità della scoperta di un rito e di una ritualità che, in alcune parti della forma e, di sicuro, interamente nella sostanza, sono ancora presenti ai giorni nostri.

 

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