HomeLa RivistaCultura&ArteANGELO CRESPI: NOSTALGIA DELLA BELLEZZA. SAGGIO SULLA CONTEMPORANEITA’ DELL’ARTE

ANGELO CRESPI: NOSTALGIA DELLA BELLEZZA. SAGGIO SULLA CONTEMPORANEITA’ DELL’ARTE

 …Domanda.Oggi chiunque parli di bellezza vIene criticato come reazionario. Risposta.  Tecnicamente io lo sono: reagisco al brutto che mi circonda che mi duole in senso fisico. Non posso essere biasimato se reagisco a un sopruso, e quello del brutto rispetto al bello è un vero sopruso, e quello del brutto rispetto al bello è un vero e proprio sopruso a danno dell’uomo e dell’umano. Nella contemporaneità rischiamo di dimenticare molte tracce della bellezza del passato e rischiamo di perdere la capacità di produrne di nuova e di godere di quella esistente.  Perfino la bellezza minuta del paesaggio, perfetta compenetrazione tra natura e arte, che tanto ci conforta è a rischio di distruzione o di imbalsamazione attraverso il pittoresco che è una cristallizzazione patetica e sentimentale del bello. Nelle terre del Leviatano, annotava E.Jungher, regna il cattivo gusto. Domanda. C’è però il tema di sembrare dei passatisti, nostalgici appuntoRisposta. La bellezza non è mai passata. Nelle metamorfosi perenni del Tempo rinasce in nuove forme che sempre percepiamo d’incanto, se le sappiamo cogliere. Io non ho nostalgia di una particolare bellezza, o della bellezza di un determinato evo, ho invece nostalgia della bellezza futura e desiderio di fare ritorno a casa, perché la bellezza è la nostra casa e dà senso e dignità alla vita Domanda. Dunque una nuova bellezza? Risposta. Non una nuova, ma di nuovo bellezza; ogni epoca ha prodotto bellezza con la certezza che il bello fosse meglio del brutto. Gli stili e i linguaggi si modificavano o si ripetevano, ma resisteva l’idea che si potessero creare cose belle e significative e l’arte era appunto la disciplina in cui ci si adoperava per questo. Noi siamo la prima civiltà che preferisce il brutto al bello. Trovo singolare che si venga dileggiati allorché si critichi questo slittamento etico prima che estetico.

La copertina e il titolo di un libro scorto casualmente e malamente, per via dei riflessi di luce e il caso di una sosta forzata nel traffico, mi hanno indotto a fermare l’auto nel primo parcheggio disponibile e ritornare su i miei passi sino alla libreria, così per una somma esigua ho acquistato NOSTALGIA DELLA BELLEZZA un saggio sulla contemporaneità dell’arte scritto da Angelo Crespi peraltro non nuovo ad esprimere la sua concezione sul contemporaneo con opere precedenti quali per esempio COSTRUITO DA DIO, saggio sulla bruttezza delle attuali architetture religiose.

Nostalgia della bellezza si legge d’un fiato: duecento pagine che si scorrono piacevolmente dove, con brutale chiarezza, lo scrittore si interroga e si risponde nel racconto della sua visione di contemporaneità. Una lotta appassionata in punta di penna per la bellezza, essere e essenza oramai misconosciuta e sepolta nel luna park dell’arte contemporanea. Il pezzo più acclamato e iconico dell’avanguardismo è una banana appesa con lo scotch; bandita la bellezza e il fatto bene, con il concettuale si è consolidato il sistema delle brutte arti e, assecondando l’idea per cui basta l’idea, prevalgono lavori orrendi, giochini insensati che soddisfano solo gli addetti ai lavori. Un mondo autoreferenziale, quello dell’art system, in cui le opere non hanno più un valore bensì un prezzo e i musei e i curatori lavorano per aumentarlo, mentre i collezionisti speculano, immaginando di trarre profitto dalle azioni della premiata ditta Banksy-Cattelan-Koons.

Questo pamphlet non fa sicuramente sconti a nessuno.

L’ipotesi dell’arte contemporanea come nuova religione mondiale a cui, non serve e non importa la bellezza e di contro invece la necessità di averla riconquistandola:…Se fossi un teologo mi preoccuperei dell’irruzione del demonio nel secolo e di come sia perversa l’inversione tra il bello e il brutto che ci fa preferire la bruttezza e adorare il non-senso. Usando invece categorie filosofiche, mi sembra che il tramonto dell’Occidente sia irreversibile e non ci siano avvisaglie di rinascita: non ci resta neppure il sentimento del tragico, solo una patetica ironia con cui ci nascondiamo l’imminente fine. All’art system non interessa la bellezza perché domina un profondo nichilismo che ci impedisce di capire che la bellezza è innanzitutto un valore politico, prima che estetico: essa spinge all’imitazione positiva, ci induce all’imitazione delle sue forme e dei suoi modi, crea armonia e differenze e aggregazioni proprio dove l’universo spinge all’entropia e all’indifferenziazione. Ed è per questo l’uomo sente un innato bisogno di bellezza, perché essa ci permette di intravedere l’infinito nel frammento, in qualche modo di eternare noi stessi che siamo perituri e destinati a scomparire…non ho nessuna tentazione estetizzante né passatista né pittorialista: quando parlo di bellezza intendo la perfezione della forma, cioè penso ad un’opera che è stata portata a termine come doveva essere portata a termine, a cui non si può aggiungere o togliere nulla, in questo senso etimologicamente “perfetta”. Affido cioè alla forma il potere di manifestare la bellezza e la verità delle cose, ed è per questo che aborro sommamente l’arte concettuale in cui basta l’idea, credendo invece che l’unica ragione fondamentale dell’arte sia la forma, la forma perfetta perciò in grado perfino di emendare il brutto, raffigurandolo.

E’ palese che, nel pensiero dell’Autore, l’arte contemporanea concettuale esprime ossessivamente  la propria inutilità. Se si fa, per esempio, riferimento alla banana di Cattelan che non dice niente di noi, del fatto che moriremo e con noi la persone che ci sono care, del fatto che amiamo spesso non riamati, che percepiamo l’eterno ma non possiamo raggiungerlo, che questo iato produce in noi uno struggimento senza fine… la banana ci dice solo che anche una banana appesa con lo scotch può costare 120 mila dollari e gli apologeti del contemporaneo la adorano come fosse il vitello d’oro. Eppure l’arte era nata per confortarci, per farci percepire il divino e l’eterno, per farci abitare meglio il mondo, non per manifestare l’orrore scatologico dei nostri sfinteri.

Nel palesare con forza la sua disistima sopratutto per l’arte concettuale in cui si predilige il concetto all’opera, il pensiero al fare, prova invece a riflettere , esemplificando, sul valore della pittura e scultura, figurativa o astratta definendola l’unica forma di avanguardia possibile, perché nes­sun pittore prima di dipingere il quadro sa cosa e come dipingerà… I pittori sono degli anacoreti che nella solitudine compongono per la salvezza, loro e nostra. Anche gli scultori. Tutti quegli artisti che fanno loro le opere loro, possono in qualche modo salvarci, svelandoci qualcosa che ancora non sape­vamo di noi o del mondo. Preferisco la pittura e la scultura nel solco della tradizione che – si badi – non significa la ripetizio­ne di stili e stilemi, semmai la capacità di perenne metamorfosi. D’altronde la tradizione non è ado­rare la cenere, bensì conservare il fuoco. Il pittore che dipinge è come il poeta che scrive. Se è sincero, la sua pittura assomiglierà a quello che intimamen­te è lui; similmente il poeta, il suo metro lo rap­presenta, è come il respiro. Quando uno scrive po­esia o dipinge o scolpisce, e lo fa in modo sincero, quello che produce riflette quello che è, riflette il suo tempo e la sua intelligenza, il suo cuore, il suo talento, non c’è modo di bluffare. Il pensiero di Angelo Crespi trova sponda nel pensiero di Bonito Oliva che nel definire l’opera: vive una vita autonoma rispetto all’esistenza di chi la crea e conosce un solo tipo di logoramento, quello della materia. Nel definire l’atteggiamento dell’artista afferma che costui deve muoversi fuori da ogni indottrinamento e da ogni servitù ideologica, ovvero che deve anche sapersi liberare “ della libertà a tutti i costi” mirando a sintetizzare i propri impulsi creativi in un risultato formale efficace.

A questo punto mi fermo non volendo togliere ai lettori il piacere della scoperta di questo saggio/opinione personale/percorso nell’arte contemporanea.

Nessun Commento

Inserisci un commento