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TRA MEDIOEVO E POSTMODERNITA’: UN’INTERPRETAZIONE DELL’ULISSE DI DANTE

…Oggi, questa Hybris, questa perversa curiosità e audacia, questa tracotanza oltre misura, questa “cultura della cancellazione del limite”, rappresenta il pericolo maggiore. Dante torna ancora una volta ad indicarci qual è la conseguenza del peccato di Ulisse, avventuriero del nulla, e nostro, se non corriamo ai ripari. Ecco l’eternità del messaggio dantesco che fornisce ad ogni età, ad ogni generazione, quello che le serve per poter produrre ancora futuro, per andare avanti. …

Per il sottoscritto, nato e cresciuto nel cuore di quella che si vanta di essere – almeno così recitano i cartelli stradali che accolgono i forestieri all’arrivo – “la più bella città medievale”, il Medioevo non è un’epoca della storia, qualcosa che si legge nei libri. È qualcosa di familiare con cui i nostri sensi, prima che la nostra mente, ha dialogato, attraversando strade e piazze, salendo e scendendo scale di case di pietra, annusando e toccando, prima ancora che vedendo, gli scorci in cui echeggia il passato. In altre parole il Medioevo è una presenza ed è ovvio che nella mia città, Gubbio, si svolga oramai da sette anni il Festival del Medioevo. L’annuale incontro, forse il più importante d’Europa, di studiosi, appassionati e cultori di questa epoca che rappresenta sicuramente, per me ma anche per il nostro paese e per l’intera civiltà europea, una delle radici storiche su cui si è eretta e si regge ancora. 

Ma, a pensarci bene, quella di Medioevo è un’anti-definizione. Che epoca è quel millennio che si colloca solitamente tra la fine dell’Impero romano e la scoperta dell’America? In realtà non ha un nome, è il medio-evo, ovvero l’età di mezzo che sta tra l’antichità e la modernità, quasi un gigantesco non-essere più antico e non-essere ancora moderno. E questo ha fatto dire provocatoriamente e scherzosamente al più grande medievista italiano, F. Cardini, che il Medioevo, almeno al singolare, non esiste. 

Anche solo per questo, ma in realtà non solo per questo, esso ha molto in comune con l’epoca che stiamo vivendo, la Postmodernità. Sì, anche noi viviamo in un’epoca che rappresenta un’antidefinizione. Noi, uomini e donne del presente, viviamo il tempo che viene dopo l’Età Moderna, con le sue certezze progressive, ma non sappiamo più il tempo che stiamo vivendo: non siano contemporanei di noi stessi? Veniamo dopo la Modernità, ma dove siamo? Nel Post-qualunque cosa? Ecco una delle molte analogie con il Medioevo che ronzano implicitamente anche nella passione vera e propria che si vive oggi per quell’età e per i medievalismi, i miti costruiti sul Medioevo di cui si nutre persino la moda, il costume, il cinema. Aveva ragione il mio maestro F. Ravaglioli quando intitolò il suo ultimo saggio Duraturo Medioevo. La crisi delle grandi strutture politiche nazionali alle prese, ieri con la frantumazione dell’Impero, e oggi con la globalizzazione, una lingua franca, ieri il latino e oggi l’inglese, grandi città multiculturali che rappresentano centri a se stanti da cui vengono le mode e la cultura, la paura della fine del mondo ieri ed oggi della catastrofe ecologica, le pandemie come la peste e oggi il coronavirus, e molto altro ancora. Noi, i post-moderni abbiamo, paradossalmente molti aspetti in comune con gli abitatori dell’età di mezzo. Ma non è di questo che si vuole parlare qui. 

Torniamo al Festival del Medioevo di Gubbio. Quest’anno è stato dedicato necessariamente al Il tempo di Dante. Un intero Festival che partecipa alle celebrazioni italiane e mondali per ricordare il settimo centenario della morte del “sommo poeta”. La relazione inaugurale, vera lectio magistralis, è stata tenuta il 22 settembre dal già citato Franco Cardini su L’eternità di Dante. Il grande studioso fiorentino ha sviluppato l’analisi della figura di Ulisse ricostruendone la storia delle interpretazioni che, dalla scrittura della Divina Commedia arrivano fino ai nostri giorni. La modernità inizia con un viaggio, quello di Colombo, ma Dante ci aveva raccontato già un viaggio che spinge Ulisse a ripartire per spingersi oltre le colonne d’Ercole. Il “folle volo” cantato da Dante con alcuni dei versi più noti al mondo, “fatti non foste….”, è stato interpretato dai moderni come l’esaltazione della volontà umana di seguire a tutti i costi “virtute e canoscenza”. Assieme a Prometeo, e poi a Faust, Ulisse è l’eroe moderno per eccellenza, l’eroe dalla molteplice intelligenza, assetato di conoscenza che non si ferma di fronte ad alcun limite. Egli diventa così “l’eroe e il profeta, secondo Cardini, della Modernità come cultura della cancellazione del limite”. In questo senso siamo tutti, noi moderni, figli dell’ulissidismo. Dante, pur ammirando Ulisse, come spesso accade nel suo libro immenso, lo colloca all’Inferno: perché? Perché Ulisse è all’Inferno? Non perché è stato un mentitore e un ingannatore per eccellenza, un consigliere fraudolento, ma perché sfida l’autorità divina e si spinge oltre, a tutti i costi, anche se oltre c’è la catastrofe e il nulla. Forza la sacralità del limite, di ogni limite. La sua audacia diventa curiosità vana, fine a se stessa. Ha ragione Cardini, ogni fine, nella Modernità, diventa un mezzo. Fare di ogni mezzo un fine per poi farne ancora un mezzo. Perché il vero fine è il superamento di ogni limite. È questa l’eccezionalità moderna e l’unicità occidentale, che ieri era una virtù il cui eroe era proprio Ulisse. Oggi, questa Hybris, questa perversa curiosità e audacia, questa tracotanza oltre misura, questa “cultura della cancellazione del limite”, rappresenta il pericolo maggiore. Dante torna ancora una volta ad indicarci qual è la conseguenza del peccato di Ulisse, avventuriero del nulla, e nostro, se non corriamo ai ripari. Ecco l’eternità del messaggio dantesco che fornisce ad ogni età, ad ogni generazione, quello che le serve per poter produrre ancora futuro, per andare avanti. 

L’Ulisse omerico è l’eroe del ritorno, l’Ulisse dantesco è stato interpretato dall’età moderna come l’eroe che riprende il viaggio verso l’ignoto, l’Ulisse post-moderno diventa il simbolo tragico di chi, pur intelligente e astuto, non è altrettanto saggio. Con la sua famosa orazione, “fatti non foste a viver come bruti…”, persuade i compagni a condividere la sua volontà di potenza e conoscenza, a spostare e infrangere ogni limite imposto dalla natura e dall’ordine cosmico, trascinandoli nel gorgo del Nulla. 

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