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I RIFIUTI, TRA LINEA E CERCHIO

Una situazione inedita vuole idee inedite

Di Raniero Regni

I rifiuti? Non sta bene parlarne, in fondo sempre immondizia è. Come a tavola, ci sono degli argomenti toccare i quali è da maleducati. Anche qui si tratta di una mensa ed è quella del capitalismo più ingordo che cerca il profitto a breve termine. Al banchetto del consumismo, che si immaginava senza limiti, è da maleducati parlare di rifiuti. Non li si vuole vedere, li si produce e vorremmo che sparissero. Se poi ingombrano come a Roma, le strade di una capitale, allora si farebbe di tutto pur di farli sparire. I rifiuti sono il lato oscuro della nostra società, sono gli scarti, comprese anche le vite umane di scarto, che rappresentano una specie di dito puntato accusatore, una specie di rimprovero vivente per il mondo che abbiamo creato. 

In questo pericoloso frangente storico credo che siamo ad una svolta. Il modello di sviluppo illimitato non è più né possibile e neanche desiderabile. È una specie di empietà e di peccato nei confronti della cui pericolosità la saggezza tradizionale e quella religiosa ci hanno sempre messo in guardia. Ma noi no. Abbiamo pensato di esserci liberati di ogni limite e vincolo e adesso stiamo invece toccando i confini del nostro ambiente. L’unico dove possiamo vivere: la nostra casa. Siamo ad un bivio, quello tra la linea e il cerchio. Lo sviluppo lineare è oramai, a tutti i livelli, impossibile. L’idea che spinge sull’avere e produrre di tutto e di più non è possibile e neanche giusto. Forse è l’eredità indiretta delle religioni secolari rivelate che ponevano la salvezza nel domani e alla fine dei tempi che, una volta secolarizzate, ci fanno pensare la salvezza non nell’al di là ma nell’al di qua. La trascendenza diventa il futuro e Dio diventa la Storia e il Progresso. Questa idea del tempo lineare era estranea alla cultura classica che percepiva la vita umana e quella del cosmo come dentro un cerchio limitato e ritornante. 

Forse dobbiamo tornare a questa idea anche per quanto riguarda la produzione e il consumo. Allora, in questa prospettiva, dove niente si crea e niente si distrugge, i rifiuti sono una forma di materia prima seconda che può rinascere a nuova vita nel riciclaggio. Questa è l’economia circolare che prevede il recupero di materia ma non di energia. Se infatti una sostanza come i rifiuti viene bruciata, perché la si tratta come se fosse un combustibile, allora non è più disponibile e quindi il cerchio si spezza e l’economia circolare si interrompe. L’energia non può essere creata né distrutta, cambia però forma. Da utilizzabile a inutilizzabile, da disponibile ad indisponibile, dal caldo al freddo, dal concentrato al disperso, dall’ordine al disordine. La Terra è un sistema parzialmente chiuso, scambia energia ma non materia con l’universo. Bruciando i combustibili fossili, il gas emesso non è più in grado di generare lavoro ma pesa sui nostri cento metri quadrati di alveoli polmonari e sui diecimila litri di aria che inaliamo ogni giorno. 

Di rifiuti bisogna produrne di meno, pensando gli oggetti sin dal loro progettazione come fatti per il riuso. Poi bisogna differenziarne di più, conferendo temporaneamente in discarica solo una minima frazione di cui poi si potrà sempre disporre come materia prima seconda. Questo vuole l’Unione Europea, da subito. Per questo sono stati stanziati gli enormi finanziamenti del Next Genration Plan. L’obiettivo è la riduzione del 55% la produzione di CO2 nel 2030 e di zero emissioni nel 2050. Non solo i rifiuti ma anche i derivati del petrolio non dovranno essere più usati. È la fine dell’era dei combustibili fossili studiata e preconizzata da J. Rifkin, la svolta epocale di cui abbiamo bisogno, non solo a livello energetico o economico, ma anche politico e morale.

Questa è la risposta data dal vicepresidente esecutivo V. Dombrovskis a nome della Commissione europea alla parlamentare europea Eleonora Evi. “Il decreto che sancisce il piano di Ripresa e Resilienza stabilisce che nessuna delle misure finanziate dal Piano di Ripresa e Resilienza possa comportare un rischio significativo per gli obiettivi ambientali cui fa riferimento l’ Articolo 17 del Regolamento Tassonomico, ivi incluso l’obiettivo dell’ economia circolare.   

Secondo tale Articolo 17, si considera che una attività economica causi “danno significativo” qualora tale attività provochi un incremento significativo della generazione, dell’incenerimento, o dello smaltimento di rifiuti, con la sola eccezione dell’incenerimento di rifiuti pericolosi non riciclabili; ovvero qualora provochi inefficienze significative nell’ uso diretto o indiretto di qualsiasi risorsa naturale, in qualunque fase del suo ciclo di vita. 

L’ Articolo (17)  si applica  sia a decisioni relative all’ incenerimento che al co-incenerimento di rifiuti, e specificamente al caso di impianti di conversione di rifiuti in energia, e al caso dei cementifici, come pure a decisioni relative alla costruzione di nuovi impianti di questo tipo, all’ incremento della loro capacità, e al prolungamento della loro vita utile.  

La Commissione ha pubblicato un documento di indirizzo tecnologico sulla applicazione del principio di ‘evitare danni significativi’ riferito al Regolamento di Ripresa e Resilienza. Tale documento include un esempio di non-compatibilità con il principio di “evitare danni significativi” esplicitamente riferito all’ incenerimento di rifiuti”. (fonte: https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/E-9-2021-001543-ASW_EN.pdf).

Al contrario, il governo Draghi, nella figura del ministro alla transizione ecologica Cingolani, autorizza non solo il CSS combustibile ma addirittura, nel decreto semplificazioni, spiana la strada al loro uso favorendo una approvazione tacita e rapida invece della assoggettabilità a Valutazione di Impatto Ambientale, alla quale è invece ora obbligato, vedi il caso Gubbio, per i cementifici. 

Un ministero nuovo di zecca che dovrebbe rappresentare il punto più avanzato della politica italiana in fatto di ambiente si mostra invece in questo come in molti altri aspetti del Recovery Plan completamente sottomesso alle logiche economiche di quelle filiere di imprese altamente inquinanti che sono tra i maggiori responsabili del disastro ambientale di fronte al quale siamo oramai ogni giorno di più esposti. Un Ministro che appare sempre più come un corpo estraneo rispetto all’approccio ecologico, favorevole ad ogni soluzione ipertecnologica fino al transumanesimo e che, con la scusa che per la riconversione industriale ci vuole tempo, procrastina sempre i termini della vecchia politica ambientale che scarica le esternalità dell’economia sull’ambiente. 

È oramai evidente che ognuno di noi, ogniqualvolta accende il motore della propria auto oppure porta i propri rifiuti alla raccolta differenziata, ha un conflitto di interessi con la sostenibilità. Ma chi brucia centinaia di migliaia di tonnellate di Pet coke assieme al CSS combustibile ne ha uno molto più grande, forse insostenibile. Ne dovremo comunque uscire insieme, magari guidati e finanziati da un vero ministero della transizione ecologica. Non possiamo più chiudere gli occhi sui rischi che l’azione umana provoca sul pianeta, nel piccolo e nel grande, nel vicino e nel lontano. Non possiamo più essere governati dall’inerzia dell’abitudine, una situazione inedita vuole idee inedite. 

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