HomeEditorialiVirus boia  e Maturità decapitata: dai “Pomilio” ai “Cancellieri”

Virus boia  e Maturità decapitata: dai “Pomilio” ai “Cancellieri”

di Pierluigi Palmieri

Macchinette del caffè sempre cariche, I libri adottati negli ultimi anni a formare pile traballanti sulla scrivania che serve anche da desco, quando all’ora fatidica la mamma lo implora a “mangiare qualcosa” .Il telefono che squilla ogni mezz’ora perché il compagno di classe vuole sapere notizie sui  ”carneadi” di turno. Questa è la situazione standard in cui si trovava lo studente al tempo in cui all’esame di Maturità, nato per volere di Giovanni Gentile Ministro nel 1923, davanti a una Commissione “tutta” esterna si portavano “tutte” le materie” (le prove scritte erano quattro e la prova orale si basava sul programma “intero” degli ultimi tre anni).  “Tutta-tutte-intero” , una triade di aggettivi che qualificavano commissari e programmi come giudici severi   nel “rito” di passaggio dalla tribù scolastica al  mondo del lavoro e/o dell’Università.

  Dal  1950,    Gonella ministro, gli argomenti da portare all’esame diventano quelli studiati nel corso dell’ultimo anno, con “cenni” a quelli dei due anni precedenti.

Il nostro Marcello Martelli, oggi decano del giornalismo abruzzese e non solo, proprio in questo numero della Rivista della Domenica  ci regala uno spaccato autobiografico della maturità dei primi anni cinquanta con il suo articolo dal titolo emblematico “Quell’esame di maturità come un incubo” (V. Rubrica Io Penso, nella sezione Attualità & Amarcord). Martelli ebbe la fortuna di incappare in un Commissario di grande spessore che rispondeva al nome di Mario Pomilio , i cui modi garbati, inusuali per l’epoca, lo portarono ad esclamare, al termine dell’interrogazione “i professori dovrebbero essere tutti così…”

Ma la  fibrillazione scattava soprattutto in quelli che avevano la consapevolezza di essere stati poco diligenti nel corso dell’anno scolastico e ancor di più negli anni precedenti con l’immancabile frase di rito  “quest’anno devo studiare,  ho la Maturità!”. Per molti il tempo del “dovere” si riduceva drasticamente e il fattore “tutte la materie” richiamava l’attenzione sugli argomenti più trascurati solo  nelle ultime settimane dell’anno scolastico. In quella precedente la prima prova scritta il Bignami, specialista in riassunti, balzava in testa alle classifiche delle vendite in libreria e nei mercatini dell’usato . Tensione alle stelle quindi per i “coscienziosi” dell’ultima ora e improvvisa rivalutazione dei “secchioni”, che risultavano preziosi in sede di esame. Nascevano come funghi gruppi di “studio” spontanei, che sfornavano rotolini di carta sui quali, con perizia da amanuensi, si trascrivevano tracce di temi e formule matematiche per poi inserire in cartucciere studiate ad hoc e, perché no?, in speciali giarrettiere. Paradossalmente anche questi stratagemmi, attestano, ancor oggi, il peso specifico delle prove di verifica della maturità. Non erano rari i casi in cui i “bignanisti” dell’ultima ora dovevano presentarsi all’esame di riparazione o addirittura ripetere l’anno.

A ridurre le fibrillazioni e le tensioni degli studenti e delle famiglie, causate alle drastiche disposizioni di Gentile  e attenuate solo parzialmente da Bottai ma ripristinate da Gonella, ci pensò Fiorentino Sullo. Nel 1969 dalla scranno di Viale Trastevere, su cui sedette per pochi mesi,  il politico avellinese dispose per decreto la drastica riduzione “in via sperimentale” delle prove scritte e trasformò le prove orali in “colloquio” su tutte le materie del quinto anno, mantenendo però la Commissione esterna con un solo membro interno. La fase sperimentale durerà quasi trent’anni!. Della serie  prezzoliniana “non c’è niente di più definitivo che il provvisorio”.

Con Luigi Berlinguer (1997) viene aggiunta una  terza prova scritta preparata dalla commissione il  colloquio orale si svolge su tutte le discipline dell’ultimo anno. Nasce anche il sistema dei crediti, scolastici e formativi, a cui si attribuirà negli anni un peso  sempre maggior  passando dagli iniziali  “fino a 20” a “fino a  25”  e poi agli attuali “fino ai 40” introdotti, dall’anno scolastico 2018/2019, durante il ministero Fdeli. Quell’anno  gli studenti vennero ammessi all’esame sulla scorta delle  prove di italiano, di matematica e di  inglese, predisposte dall’Istituto nazionale di valutazione (Invalsi) e a condizione di aver riportato la media del sei in tutte le materie. Le  prove scritte erano due seguite da un colloquio orale nel quale pesava particolarmente l’esito dell’Alternanza scuola-lavoro (Asl).

Nel 2020 e nel 2021 l’esame si trasforma in “discussione di un elaborato sulle materie d’indirizzo, nell’analisi di un testo di letteratura italiana in prosa o poesia e nella verifica delle conoscenze di cittadinanza, Costituzione e… Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento (PCTO)”.

E’ evidente che da Sullo in poi la prova ha perso  progressivamente “la testa” e si è andata ad appiattire su formule e acronimi che lasciano molti dubbi di attendibilità e di effettività del giudizio sulla “maturità”  dello studente.

Il Covid, mai maledetto a sufficienza, ha “letteralmente decapitato” la struttura dell’esame, svalutando il titolo. Gli effetti immediati sono deleteri e quelli di prospettiva potrebbero diventare devastanti. Lasciamo  da parte il fatto che alcuni  commissari, al termine di queste pseudo prove di esame, sono stati capaci di avallare giudizi diversi, in peius, rispetto a quelli da loro stessi registrati, solo dieci giorni prima, nelle pagelle di fine anno. Viene da pensare che, Azzolina prima e Bianchi oggi, meglio avrebbero fatto  ad emulare Bottai che nel 1943 a causa degli eventi bellici, decise di sostituire l’esame con uno scrutinio finale.

In queste condizioni, non potendo purtroppo resuscitare i “Pomilio” e fino a quando le Università, auspicabilmente non  saranno in grado di sfornarne sufficienza, la legalizzazione del titolo di studio potrebbe essere affidata  ai Cancellieri dei tribunali. Basta un timbro!

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