HomeLa RivistaCultura&ArteGIOVANNA SECCHI, IL RACCONTO DI ME…

GIOVANNA SECCHI, IL RACCONTO DI ME…

Incontro Giovanna Secchi  nella sua casa, alla periferia di Sassari dove, intendo proporle un colloquio-intervista, a ruota libera. La conversazione con Giovanna Secchi comincia con una citazione presa a prestito da Matisse:

Matisse affermava che un’artista dovrebbe tagliarsi la lingua anziché parlare…ma, pur nella venerazione di Matisse, sfido la sorte.

Così, un’artista alla quale sono legato da una profonda stima personale e per il suo notevole lavoro, si confida.

Vivo la quotidianità del presente… Da sempre cerco di sfuggire l’abitudine a ripetere…e lo scarto di tutto quanto fatto mi aiuta sempre a far chiarezza nel contestualizzare l’opera al linguaggio usato. L’ambito delle tematiche che, da sempre mi perseguitano nell’originare opere più o meno felici, originano i caratteri ricorrenti di tutta la mia attività artistica:
i problemi dell’immortalità del corpo, il mistero della creazione,  la nascita dell’universo, il senso ultimo ed il significato stesso della materia e dell’esistenza delle cose……. quindi la creazione artistica come pratica anti-entropica, ovvero come una sfida capace di arrestare l’irreversibilità del tempo.

  

Tutto sommato un’esistenza artistica non facile, vissuta ai confini dell’impero, in una terra felice ma strazeppa di contraddizioni dove, al proprio interno, spesso la consuetudine provinciale legata a piccoli interessi di parte  prevarica il riconoscimento della vera espressione artistica.

Anche per questo, un altro dei miei temi preferiti è quello dell’invisibilità e del raggiungimento di obiettivi impossibili; spazio all’interno del quale un’ artista è come un prestigiatore che, con i suoi giochi deve riuscire a sorprendere se stessa, condannata a  percorrere una pista dove, il mio ignoto, è l’unica strada che conosco e pratico.  Un provincialismo diffuso, che passa per conoscenza, mostra percorsi di artisti stranieri spesso evitando con circospezione la produzione locale che pure, è considerata anche all’estero una produzione di alta qualità e sempre espressione della ricerca della contemporaneità. In quest’isola sono venuti a mancare, dopo la dipartita degli storici dell’arte Maltese e Naitza, figure che avessero interesse a storicizzare la ricerca artistica isolana in modo sistematico e creare al contempo un mercato del collezionismo. Una generazione successiva di ex giovani, rampanti e allora di belle speranze, sono riusciti a parlare di tutto e di più fuorché di tutto ciò che di importante avevano sottomano.

   

La complessità del suo lavoro trova  conferma in alcune citazioni  che ci  aiuteranno a comprenderne il senso. Jean-Francois Lyotard a cavallo degli anni ottanta, nell’ipotizzare lo sgretolamento della tradizione occidentale, scriverà La condizione postmoderna decretando la fine del metafisico. In seguito, la crisi energetica, la fine del boom economico rivaluteranno l‟individuo a scapito della collettività.  Achille Bonito Oliva, con un saggio ribadito anche da pochissimo, trova in questo fenomeno  un parallelismo con il cinquecento dove, a sgretolarsi, fu il Rinascimento: L’ esempio di ciò possiamo trovarlo nel Don Chisciotte di Cervantes e nella figura di Benvenuto Cellini.  Il personaggio Don Chisciotte oscilla, difatti, fra realtà e irrealtà così come il Manierismo oscilla fra Rinascimento e Barocco:  il primo periodo simboleggia la ragione, il secondo l’ Immaginazione. Cellini, come peraltro parecchi suoi coetanei, i Manieristi, deve piegarsi alle leggi di corte e al nomadismo, dentro il vortice di una competizione continua che lo vede errante, permanentemente, alla ricerca della valorizzazione della propria opera.

La mia produzione artistica ha fatto tappa in ognuna delle pieghe della storia, delle quali discutiamo, dentro una cifra molto personale: ha riletto l’astrazione gestuale prima; il raziocinio della regola applicata alla forma ed alla percezione della sua dinamicità attraverso la staticità  che solo la pittura sorprendentemente evoca diventando segno monocromatico su spazio bianco o segno sbalzato in varie dimensioni, su ottone e cartoncino. Quasi contemporaneamente nasce l’esperienza concettuale, all’interno del gruppo della Rosa, che ha visto un gruppo di artisti riuniti a discutere sull’utilità del fare arte secondo la tradizione occidentale, in contrapposizione quasi totale ad un altro gruppo, nato anch’esso in quegli anni, che proponeva l’arte quale strumento di responsabilità sociale nella tentazione politico-didattica di educare le masse. Gli incontri, vivacissimi, si tenevano presso la galleria d’arte Il Basilisco, del pittore Francesco Tanda a Sassari.

  

Lo stesso Renato Barilli nella summa del suo pensiero contenuto in Tra presenza e assenza dell’ottantuno in cui afferma che non si deve più contrapporre moderno e contemporaneo, ma usare il suffisso post perché la nuova realtà si colloca altrove rispetto a quella che precede. In sintonia con quanto scrive Vattimo nel suo saggio il Pensiero Debole, Barilli afferma che i Paesi emergenti passeranno dalla civiltà pre-industriale direttamente alla post-industriale e si passerà, a causa della globalizzazione, a una civiltà neo-arcaica e neo-medievale.

Credo che tutto ciò sia veramente successo…basta guardarsi attorno per comprenderlo. Artisticamente ho macinato le stesse idee con una consapevolezza di cui, solo ora, ho vera coscienza. La ricerca di una storia del vissuto femminile dove, identitariamente, alcuni valori formali del corpo della donna da sempre, oggetto di attenzioni volgari della specie maschile, diventano gli spazi, le forme, i colori che ne raccontano la l’unicità, la ricchezza, la sensibilità. La tridimensionalità, arricchita spesso da decori gioiello, fa intuire la ricchezza del contenitore quale gemma unica e irripetibile. Anche i personaggi, apparentemente assessuati che popolano gli spazi, volutamente labirintici, della mia ultima installazione costruita all’interno del  Museo MAN di Nuoro raccontano,  con una punta autobiografica, di un personaggio, anima pluriforme, che vive gli spazi, per lui obbligatoriamente progettati, senza mai trovare un’uscita. Metafora di vita reale e prigione dorata della vita di ognuno.

Ma Giovanna Secchi chi è?

Nata ad Olbia, si è formata sotto la guida di Mauro Manca presso l’istituto Statale d’arte di Sassari.  E’ stata docente di plastica ed educazione visiva presso la medesima scuola. Successivamente  docente della scuola di decorazione presso l’accademia Mario Sironi. Con il suo contributo professionale e didattico ha contribuito, in maniera notevole, al superamento di un arte sarda legata al folclore ed a un fare accademico ottocentesco. Tutto ciò nel mantenimento di una identità contemporanea della quale, l’Isola è ricca, ma testimoniata quasi esclusivamente da pattuglie esigue di intellettuali.

Negli anni sessanta fa’ parte del gruppo A; nel 76 aderisce al gruppo La Rosa di marca concettuale. 

Pittrice e scultrice si è occupata inoltre di design per l’artigianato nei settori del sughero e della tessitura.

Solo per citare alcune delle ultime manifestazioni:

Centre d’art contemporain Essauira; 54ª Biennale di Venezia, padigliome Italia; Biennale internazionale d’arte di Casablanca; FIG, premio internazionale per l’incisione, Bilbao; La costante residenziale, Museo Man Nuoro; Sardegna, Un laboratorio infinito, castello di San Michele, Cagliari

Email: giovannasec@gmail.com

Nessun Commento

Inserisci un commento