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Zero, un numero molto semplice da ricordare

Est modus in rebus, si diceva una volta anche nel linguaggio ordinario, quando le élites studiavano il latino e si parlavano tra loro. Oggi non si usa molto e forse è diventata incomprensibile ai più. Anche ieri però era usata come sinonimo per dire che c’è un modo di fare le cose, ma non nel senso della misura, ma del modo di accomodarsi con il mondo, quasi che ci fosse sempre una soluzione ad ogni problema. In realtà i versi famosi delle Satire di Orazio suonano così, “vi è una misura nelle cose, vi sono precisi confini oltre i quali e prima dei quali non può consistere il giusto”. Versi meritatamente famosi perché racchiudono tutta l’etica latina, una forma di saggezza che consiste nel non superare i limiti, ma che spesso gli stessi romani hanno dimenticato. I Greci, più saggi di loro, dicevano che non bisogna abbandonarsi alla Hybris, alla tracotanza, una specie di accecamento dovuto all’eccesso di successo, una forza che si impadronisce dell’essere umano quando la verità è oscurata a causa del dominio della presunzione sull’intelligenza. Anche la successiva cultura cristiana, pur avendo al centro un Dio infinito, proporne però sempre un’etica della misura, della temperanza, della moderazione, del trattenere i desideri che, per loro natura, volano sempre verso il cattivo infinito dei beni materiali. 

L’età moderna ha scardinato i limiti attraverso il progresso: oggi è meglio di ieri, ma peggio di domani. La salvezza nell’al di là è stata sostituita con la salute nell’al di qua, nel futuro. La crisi pandemica e la crisi ambientale hanno però dato un colpo decisivo a questa concezione che ha dominato negli ultimi due secoli. Il tramonto delle ideologie e le recenti crisi economiche hanno disincantato l’idea di progresso. Il progresso non è la stessa cosa dello sviluppo, ed entrambi sono limitati e contraddittori. La fede nel progresso è stata sostituita dalla fiducia nello sviluppo tecnologico, ma anche quest’ultima è ora piena di dubbi. Che alternative abbiamo? Come suggeriva il filosofo R. Bodei, che ha ragionato intorno al limite, non dobbiamo velleitariamente abolire ogni limite e ogni confine, ma non dobbiamo neanche santificare gli ostacoli. Dobbiamo ritrovare la misura. Altrimenti la medicina che dovremo bere sarà troppo amara.

Tutte le tesi sviluppiste che puntano sempre sulla crescita, anche quelle che predicano una crescita entro i confini, non sembrano convincere fino in fondo. Ho citato altre volte due studiosi di sostenibilità globale come J. Rockstrom e M. Klum. La loro bella sintesi suona così, “l’abbondanza entro i confini planetari richiede una profonda trasformazione della mentalità. Non crescita senza limiti, e nemmeno limiti alla crescita, ma crescita entro i limiti”. La sintesi sembra elegante e convincente. Eppure nel loro documentatissimo studio sostengono, come la stessa Unione Europea, che dovremmo ridurre l’inquinamento derivato dalla combustione di combustibili fossili del 50 % entro il 2030, ma nel 2050 l’economia globale dovrebbe essere completamente decarbonizzata. Che cosa vuol dire? Che non dovremmo più bruciare niente per produrre energia. Ecco che la loro stessa formula di una crescita entro i limiti appare problematica.

Sembra più giusto quello che scrivono più avanti nello stesso testo, indicando quella che è a loro stesso parere la direzione che il mondo deve intraprendere. “Proponiamo qui un numero, facile da ricordare ma scientificamente ineccepibile, un numero che possiamo insegnare ai nostri bambini, che con ogni probabilità saranno ancora vivi nel 2100. Questo numero è zero”. Un’economia completamente decarbonizzata, dove lo zero viene ripetuto più volte. Zero emissioni, zero perdita di biodiversità, zero espansione dei terreni agricoli e di quelli urbani. Dobbiamo infatti fermare la perdita di specie viventi, dobbiamo trovare il modo di nutrire e di far abitare gli umani della Terra senza espandere ancora le terre coltivabili e il consumo urbano di suolo.

Zero. È un numero facile da ricordare e che lascia poco spazio al dubbio, ma che dovrebbe proprio per questo scatenare l’immaginazione e la creatività umane per riuscire a realizzare una nuova rivoluzione verde. Un movimento che, partendo dalle coscienze e dalla loro educazione, ci aiuti a comprendere che dobbiamo essere noi i custodi delle bellezze che sono rimaste sulla Terra, perché quelle bellezze sono anche buone, indicano la vita e la via.  Ma questa utopia sul piano globale deve essere intrapresa a partire dal piano locale, riguarda tutti, il che significa che riguarda ognuno.

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