HomeLa RivistaNumeri, scenari e vincoli del Recovery Plan. Pragmatismo, riforme e governance

Numeri, scenari e vincoli del Recovery Plan. Pragmatismo, riforme e governance

Con la prima parte dell’articolo pubblicato la scorsa settimana ho inteso ricordare che il Piano è fatto di numeri e di obblighi e che i medesimi pur tenendoci impegnati sino al 2058 non avranno grandi effetti sul nostro PIL.      A tal fine vi invito a leggere le interessanti considerazioni dell’economista Guido Aletta secondo il quale “L’impatto del Piano Nazionale sul PIL è irrisorio. E paradossalmente dà un spinta  sostanziale solo alle importazioni. Quindi non innescherà un crescita sostenuta e duratura”.

Con la seconda parte di oggi vedremo come si è giunti al piano definitivo e quali sono i vincoli imposti dall’Europa.

Il Piano Conte : verso la metà del mese di gennaio, quando  il Senatore Renzi  raccoglieva  i primi frutti del martellamento portato verso il Primo Ministro e si cominciava a parlare di crisi, una bozza del PNRR era stata inviata a Bruxelles, forse proprio nell’intento di blindare il Piano e di deviare le critiche sempre più serrate che il Governo continuava a ricevere per l’ostinazione a non voler renderne pubbliche le linee guida. Il Comitato interministeriale, sotto il controllo del Ministro dell’Economia e delle Finanze Gualtieri, anziché aprirsi al contributo di tutte le forze politiche e produttive e costruire un Piano armonico in aderenza ai problemi del Paese, chiese ad ogni Ministero di identificare i progetti più significativi riservandosi di assemblarli nel Piano finale. Si comprende facilmente che un lavoro del genere, slegato da una prospettica visione generale, complessiva ed unitaria sarebbe stato destinato a fallire. Infatti, la Commissione Europea dopo un esame informale manifestò forti perplessità ed in perfetto stile politichese disse  che  la base è buona ma va molto rafforzato”.  Ulteriori critiche furono espresse da Confindustria che, dopo aver ritenuto il Piano insufficiente, espresse molti dubbi sulla sua attuazione vista la incompetenza e l’incapacità delle forze di governo a definire una struttura tecnica alla quale affidare la gestione e la sua realizzazione pratica. Insomma il Piano Conte era un Piano vago, poco preciso, poco dettagliato, senza tempi per la sua realizzazione e, soprattutto, senza indicare le coperture di spesa.

Il Piano Draghi : Con il discorso di insediamento al Senato il neo Primo Ministro affermò testualmente :”Non basterà elencare i progetti che si vogliono completare nei prossimi anni ma dovremo dire dove vogliamo arrivare nel 2026 e a cosa puntiamo per il 2030 e per il 2050”.  Gli effetti conseguenti a questa nuova metodologia di approccio si notano immediatamente con la costituzione  di un variegato gruppo di lavoro, tra cui alcuni economisti di Banca d’Italia, e la nomina di Carmine Di Nuzzo, capo ispettore della Ragioneria generale dello Stato, al quale viene assegnato il compito di coordinare tutta l’opera di redazione, sistemazione e riscrittura del PNRR. La gestione del piano viene centralizza  al MEF dove i progetti vengono valutati e definiti non già in base a quanto trasmesso dai  vari Ministeri ma in base alla loro capacità di essere funzionali a raggiungimento degli “obiettivi Paese” nel 2030. Un Piano, quindi,  che pur costruito in tempi molto stretti presenta un cambio di passo radicale e profondo rispetto a quello fumoso del Governo Conte; gli aspetti migliorativi sono diversi e tutti sostanziali. Vediamone qualcuno.  Innanzi tutto è un Piano pragmatico nel quale vengono bandite le frasi ad effetto ad uso e consumo di talk show ed affini, puntando a descrivere i progetti in modo analitico e tecnicamente meditato dove i numeri assumono significati certi. Inoltre per la prima volta si parla di riforme, le stesse che l’Europa ci chiede da tempo. Questo significa che i fondi debbono essere destinati a quei settori nevralgici che servono a modernizzare il Paese e che le coperture degli investimenti debbono essere razionalizzate per consentire la restituzione del debito alle scadenze prestabilite. Un’ultima importante differenza riguarda  la governance, ossia la gestione della esecuzione dei progetti. A tal fine il Ministro dell’Economia Franco ha precisato che verrà creata una struttura permanente di sorveglianza presso ogni Ministero, ossia una sorta di cellula operativa, con lo scopo di monitorare lo stato di avanzamento  dei progetti e riferirne gli esiti   ad un ufficio del MEF appositamente costituito.

Mi fermo qui perché lo spazio riservato  alla rubrica non mi consente di proseguire oltre. La terza ed ultima parte verrà quindi pubblicata sul prossimo numero.

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