HomeLa RivistaEducazione e AmbienteNo limits. Il riscaldamento globale ha coinciso con il raffreddarsi dei rapporti umani e delle speranze

No limits. Il riscaldamento globale ha coinciso con il raffreddarsi dei rapporti umani e delle speranze

In un precedente contributo a questa rubrica, si è parlato dei beni comuni come di qualcosa che impone un limite, sia al possesso dei beni privati che a quello dei beni pubblici. Beni senza proprietà perché indispensabili, agli esseri umani e agli altri esseri viventi, per vivere. Beni il cui valore d’uso deve essere sottratto all’economia e ai mercati incapaci di autoregolarsi, pena l’autodistruzione ecologica. Di questo abbiamo parlato nel primo numero della rubrica.  Ora è venuto il momento di spiegare perché questa idea di limite ci ripugna così tanto.

Qualche anno fa c’era una famosa pubblicità televisiva di una marca di orologi che illustrava la qualità del prodotto con le imprese di uno degli uomini che per primo compiva imprese di volo con una tuta alare. Lo spot terminava con la perentoria scritta “no limits”, nessun limite, non ci sono limiti all’audacia, all’inventiva e alla tecnologia.

Diciamo che la lotta contro i limiti viene da lontano, è il programma dell’intera età moderna. Dal 1500 in avanti, in Occidente prima e poi nel resto del mondo, si è lottato faticosamente contro l’ignoranza con la scienza, contro le ingiustizie con le rivoluzioni politiche, contro la povertà con le rivoluzioni industriali. Demitizzando e secolarizzando le fedi storiche rivelate si è poi costruita un’altra fede, un altro mito, quello del Progresso. La salvezza non era più nelle mani di Dio ma in quelle degli uomini, il Regno dei cieli non era più trascendente ma immanente, il Paradiso in terra era nel futuro. La molla segreta era un certo tipo di libertà impegnata a spezzare tutte le catene che volevano imprigionare l’umanità. La miseria, la malattia, la brevità della vita, la servitù, la paura. Non senza battute di arresto e contraddizioni, questo programma è andato avanti con successo per più di tre secoli. Dopo la Seconda guerra mondiale, che assieme alla prima grande guerra e ai regimi totalitari che

ne sono seguiti hanno rappresentato clamorose e disumane battute d’arresto di questa marcia trionfale, la fede nel Progresso ha dispiegato le sue ali. La libertà si è lanciata persino contro i limiti dell’appartenenza terrestre con le imprese spaziali. Con la contestazione giovanile si è pensato di risolvere una volta per tutte il problema edipico della tirannia dei padri anche se la generosa lotta studentesca per l’emancipazione ha finito per trovare il suo paradossale esito nella società dei consumi. L’idea forte era “di tutto e di più”. Il produttivismo e il consumismo sono diventati dominanti. Nella moltiplicazione dei beni si è vista la realizzazione della libertà dai limiti della penuria. Nell’aumento del benessere e della salute si è dimenticata la Salvezza. Il punto più alto è stato raggiunto alle soglie del fatidico Duemila, preceduto dal crollo di ciò che è uno dei simboli del limite: il muro, il crollo del muro di Berlino e la fine della guerra fredda e della politica mondiale bipolare. Alle soglie del Duemila la globalizzazione ha raggiunto il suo picco più alto con un’economia senza frontiere. I mercati mondiali muovevano soldi e merci, ma anche individui. Si parlò di uccisione di un altro dei limiti classici, quello della distanza. Grazie alla velocità delle vie di comunicazioni, alle reti elettroniche e

commerciali, il mondo si era rimpicciolito, il lontano era diventato vicino. Certo la distanza fisica sembrava sconfitta, rimaneva quella culturale e quella sociale, ma ci si stava lavorando.  Anche la distanza etica (chi è il mio prossimo?) sembrava resistere, ma era vista come un effetto collaterale dello sviluppo. Rimaneva la distanza temporale nei confronti delle generazioni future, ma quelle non ci sono ancora! Sì, lo sviluppo era diventato sinonimo di progresso. Anche se lo sviluppo produceva armi o pesticidi o sostanze inquinanti, si pensava che lo si sarebbe poi curato con ancora più sviluppo. Domanda: Come far fronte ai problemi creati dalla tecnica e dalla produzione? Risposta: con più tecnica e più produzione.

Spesso noi umani siamo più bravi a perfezionare gli errori ripetendoli che a correggerli”

Ma svoltati gli anni Duemila, già nel 2001 abbiamo l’attacco alle Torri gemelle, il terrorismo e la guerra al terrorismo, nel 2008 la grande crisi finanziaria, la più grave nella storia del capitalismo, poi l’avvento delle “democrature”, delle democrazie autoritarie, dei regimi populisti, la Brexit, l’avvento di Trump, ora la paurosa pandemia e poi la

spaventosa crisi post-pandemica che ci aspetta. Si è capito (senza forse capirlo ancora bene) che lo sviluppo non è il progresso, che lo sviluppo sostenibile è insostenibile. Il futuro ha smesso di cantare e si sono addensate nuvole minacciose che prendono il nome di crisi climatica ed ecologica. Il riscaldamento globale ha coinciso con il raffreddarsi dei rapporti umani e delle speranze. Quello che ci aspetta e che sarebbe necessario è un cambiamento del modello,

del paradigma, dell’idea guida. Ma, dopo più di tre secoli di lotta e superamento dei limiti, è per noi difficile cambiare prospettiva. Spesso noi umani siamo più bravi a perfezionare gli errori ripetendoli che a correggerli.

Mi fermo, perché anch’io ho superato il limite. Questa breve storia della modernità non può essere trattata nelle poche righe di una rubrica e con le poche risorse di chi scrive. Pago il pegno con l’irrilevanza e la confusione. Me ne scuso con il benevolo lettore che mi avrà seguito sino a qui e che, adesso, forse non è più tanto benevolo nei miei confronti. 

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