Fa sorridere il sol pensiero che la nostra cultura, e maggiormente le nostre leggi, tendano alla “integrazione del diverso”, cioè alla “negazione della diversità”. Eppure nelle tantissime testimonianze psico-pedagogiche la diversità aveva assunto il significato di “ricchezza”.
Ogni volta che allontaniamo il problema della diversità, confermiamo la nostra paura del diverso, che null’altro è che la semplice paura di quel diverso che ciascuno di noi è in se stesso e da cui ci difendiamo ogni dì per timore di non mantenere la nostra identità.
Nel 1977, con la legge 517, quella sull’integrazione scolastica degli alunni disabili nella scuola di tutti, si superava, almeno si pensava, l’abominevole disastro delle classi differenziali, delle scuole speciali e delle sezioni ghetto. Si affermava il principio dell’uguaglianza delle opportunità nell’accesso all’istruzione e all’educazione predisponendo strumenti e risorse pedagogiche idonei a favorire le potenzialità di ciascuno. Lo sviluppo delle nuove esperienze didattiche e pedagogiche sembrava potesse, finalmente, “normalizzare” l’alunno disabile (oggi… “diverso”).
Nel 2010, con direttiva ministeriale, si pone l’accento sugli alunni con disturbi specifici dell’apprendimento (dislessia, disgrafia, ecc…). Gli insegnanti vengono iniziati a corsi di formazione dai quali fanno seguono, quelli per il sostegno agli alunni con ADHD ( deficit di attenzione e di iperattività). L’attenzione rivolta al fenomeno dei disturbi specifici dell’apprendimento, rischia di accomunare la realtà delle difficoltà di apprendimento con quella dei disturbi specifici. Si è cominciato così ad operare scolasticamente più con lo sguardo clinico-diagnostico, che poco ha a che vedere con il DNA dell’originale docente, che con quello pedagogico. Inoltre nell’oneroso “mercato” di insegnanti di sostegno non pochi sono quelli che si infiltrano con la finalità di usufruire della specializzazione per accumulare punteggio nella propria classe di concorso, privi della considerazione di che cosa voglia significare… “docente del-nel sostegno”. L’ennesimo DPCM ripropone l’apporto innovativo di DAD/DDI ( ormai la scuola italiana, ahinoi, vive solo di sigle…!), ma, pur chiudendo le scuole, dichiara la necessità di una didattica in presenza, per alunni con bisogni educativi speciali accompagnati, d’obbligo, dai docenti di sostegno e dai rispettivi docenti curricolari, invitando un numero ridotto di alunni, previo consenso dei genitori, a frequentare a turno le lezioni in presenza, perché si mantenga una relazione educativa che realizzi, pensate un po’, l’inclusione scolastica dei suddetti alunni “BES”!